Tesi di Laurea - Capitolo 2 - Studio Legale Ranchetti

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CAPITOLO 2

POLITICA ECCLESIASTICA E RAGION DI STATO NELLA LEGISLAZIONE DI VITTORIO AMEDEO II


Sommario: 1. Gli editti di intolleranza. 2. La svolta politica di Vittorio Amedeo II e il trattato dell'Aja. 3. Il ricostituirsi del ghetto alpino sotto il padrinato angloolandese. 4. Le costituzioni piemontesi del 1723 e del 1729. 5. Il regime giuridico dei Valdesi al termine del governo di Vittorio Amedeo II. 6. Conclusioni.
1. Gli editti di intolleranza
1.1 I Valdesi dovevano vivere un'altra pagina tragica della loro storia, col Duca seguente: Vittorio Amedeo II.

Nel 1685 Vittorio Amedeo II aveva 19 anni e si trovava a fronteggiare, o meglio a subire, la situazione che lo zio Luigi XIV, il re Sole, voleva imporgli.
Infatti, questo dominatore dell' Europa del tempo, spinto non solo da un sincero cattolicesimo, ma anche da ragioni integraliste e assolutistiche, aveva, il 18 ottobre 1685, revocato l' Editto di Nantes. 48 Gli Ugonotti, che avevano avuto assicurato da quella legge quasi un secolo di tranquillita', risposero con la resistenza armata o con l' esilio.


Molti cercarono rifugio nelle Valli Valdesi, sotto la giurisdizione del Duca di Savoia.
Da cio' le incessanti pressioni di Luigi XIV, sul giovane nipote, perche' si allineasse alla politica francese, emanando analoghi provvedimenti repressivi verso i sudditi sabaudi protestanti e perche' non consentisse che essi offrissero asilo ai cittadini francesi fuggiaschi.

Qualora il Duca non fosse intervenuto il re avrebbe provveduto con il suo esercito a ripulire le Valli.
Vittorio Amedeo II dovette mettere sulla bilancia, da una parte le perdite economiche di una quasi certa guerra contro i valdesi e le complicazioni diplomatiche con i Paesi protestanti, dall' altra la minaccia dell' intervento militare francese. 35 D'altra parte il re di Francia non demordeva e lo incalzava per evitare che le potenze europee protestanti si potessero organizzare onde evitare l'esilio degli eretici. 35

Il calcolo politico indusse Vittorio Amedeo a sposare le ragioni di Luigi XIV.
Per evitare il pericolo di una nuova occupazione francese del territorio, il re sabaudo emano' un primo editto, nel quale vieto' ai suoi valdesi ogni forma di aiuto a favore dei correligionari stranieri, pena dieci anni di galera (4 novembre 1685). Ma il re francese non si ritenne soddisfatto. Vittorio Amedeo emanava allora l' editto del 31 gennaio 1686, modellato su quello francese della revoca dell' editto di Nantes, e concernente una serie di drastiche disposizioni che, se integralmente applicate, avrebbero cancellato il Valdismo dal Piemonte in breve arco di tempo.
L' editto infatti imponeva:

1) la cessazione di ogni forma di culto valdese; 2) il divieto di riunirsi in qualsiasi luogo, dentro e fuori dai limiti;
3) la demolizione dei templi, dentro e fuori dai limiti;
4) l' allontamento o la conversione dei pastori e dei maestri di scuola, entro quindici giorni; 35
5) il battesimo cattolico dei neonati. 35
6) l'esilio coatto o la conversione forzata per gli ugonotti francesi rifugiati nelle valli.



I punti 1, 2, 3, 4 e 5, ricalcavano fedelmente il testo degli articoli dell'editto francese del 17 ottobre 1685.
A Parigi, cosi' come in tutta l'Europa cattolica, la notizia della pubblicazione dell'editto fu appresa con grande soddisfazione.
Il Viora, nella sua opera "Storia delle leggi sui Valdesi di Vittorio Amedeo II" 35 , ha sostenuto che tale editto, poiche' non imponeva obbligo di abiura ai sudditi sabaudi, se non quelli previsti nel punto 4, non violava la coscienza dei Valdesi.

Esso non impediva la fede personale e, nel caso, in esame, era possibile anche qualche forma di culto familiare. Vi sarebbe stata una variazione di stato giuridico, ma non di stato personale.
Inoltre si sarebbe trattato di un editto benevolo, in quanto il Duca avrebbe potuto imporre loro l'aut-aut della morte o della cattolicizzazione, come aveva fatto in Calabria Filippo II di Spagna. Ma che valore puo' avere una liberta' di coscienza che non si estrinseca nella liberta' di culto e nella liberta' di pensiero e di parola?
Se possiamo anche accettare che questa maturita' di pensiero alla quale le forme eretiche erano pervenute, fosse ancora di la' da venire per un integralista cattolico dell'eta' della Controriforma, che dire dell'annullamento dei diritti che i Valdesi avevano acquisito e di cui avevano legittimamente goduto , in forza della legislazione ecclesiastica precedente?
Il Trattato di Cavour, le patenti di Pinerolo e di Torino potevano veramente essere cassate in modo indolore, tacciando di "ribellione" chiunque si fosse opposto al nuovo editto?
E che dire del battesimo cattolico, che avrebbe sottratto i figli non solo alla religione dei padri, ma anche alla potesta' paterna? Nella logica dell'assolutismo, tutto e' possibile, ma la risposta valdese non si fece attendere e fu
infatti pronta e lineare con i propri principi:
"...essere loro mille volte piu' cara la morte che di restar privi degli esercizi di una religione, nella quale servono Dio secondo la sua piu' pura parola" (supplica diretta al Sovrano, il 24 febbraio 1686).

Nella richiesta dei Valdesi e' evidente come essi ritenevano che la liberta' di culto, " l'esercizio della religione ", fosse un tutt'uno con la liberta' religiosa.
Per le 1973 famiglie, quante allora ne assommava il popolo valdese di circa quindicimila anime, la accettazione dell'editto avrebbe significato veramente la perdita della loro identita'.
Le pressioni esercitate dai Cantoni svizzeri sul Duca ed il desiderio di evitare la guerra alla quale le valli si andavano preparando, indussero il Sovrano ad emanare un nuovo editto, quello del 9 aprile 1686.
Ad alcuni critici, questo editto, e' parso un atto di clemenza, perche' in esso il Duca offriva ai Valdesi, qualora avessero consegnato, entro otto giorni, le armi che andavano radunando, e avessero accettato i missionari:

"grazia, perdono, remissione, abolitione et ampia amnestia... di tutti gli eccessi, mancamenti, delitti" in cui erano incorsi , per reazione all'editto del 31 gennaio.
Inoltre apriva ad essi una nuova possibilita' non prevista da quell'editto.

Per i valdesi che lo avessero voluto, c'era la possibilita'di espatriare, portando con se' le loro robe e affidando l' incarico di vendere i loro beni a procuratori generali di loro fiducia, che avrebbero avuto il permesso di rimanere nelle valli tre mesi, onde portare a termine quel compito.


In realta', la volonta' del Sovrano emerge chiaramente attraverso la corrispondenza diplomatica con Parigi, quando in una lettera del 13 aprile di quello stesso anno, egli diceva:
" Noi stimiamo che si possa conseguire stabilmente l' intento di abolire affatto la Religione Pretesa Riformata in quelle Valli... ".

Come si puo' considerare un atto di clemenza la soppressione degli antichi diritti, l'emigrazione sotto scorta ducale , da compiersi entro il 23 aprile, la forzata alienazione dei beni tramite procura?
Inoltre il "beneficium emigrationis", era un istituto ormai consolidato dello Jus reformandi,delineato nella pace di Augusta del 1555, (fra cattolici e luterani) e ripreso meglio giuridicamente, (estendendolo a calvinisti e riformati) nella pace di Westfalia del 1648. 48 Gli studiosi di parte cattolica considerano clemenza il fatto che Vittorio si fosse allineato al Jus reformandi germanico e non mancano di sottolineare che l'editto di aprile concedeva ai valdesi sabaudi una posizione giuridica migliore degli ugonotti francesi.
Questi, infatti, in base all'art. X dell'editto di revoca, avevano il divieto assoluto di lascire la Francia.
Ma occorre fare ancora qualche osservazione.

Il "beneficium emigrationis" non veniva riconosciuto come un diritto del dissidente, a cui corrispondeva l'obbligo a lasciare emigrare da parte del principe, come era nel Jus reformandi.
Il sovrano sabaudo lo presento' come una sua benevola concessione.
Inoltre da esso erano escluse due categorie di sudditi: i pastori ed i maestri.



1.2 I Valdesi respinsero la possibilita' dell' esilio e quella di permanere nel territorio a patto di limitarsi ad una liberta' personale di coscienza. Avevano fondati motivi di ritenerla quanto mai precaria.L'esempio tanto caro al Duca, della vicina Francia, lo dimostrava apertamente.
Pur avendo l'editto di revoca garantito la religiosita' individuale,le autorita' locali francesi avevano in ogni caso eluso l'editto reale e avevano proceduto , pena la vita, ad ogni forma di violenza , pur di ottenere le abiure. Pertanto i valdesi si prepararono alla campagna di guerra che, sotto la guida del pastore Enrico Arnaud, li avrebbe visti impegnati contro un esercito franco- sabaudo di oltre 10.000 soldati.
Il Duca ci tenne a precisare che li perseguiva in quanto ribelli "manu armata" ai suoi editti, e non in quanto religionari. Le operazioni militari, rapide, violente, brutali, anche nei confronti della popolazione civile, si chiusero con un bilancio di circa 2.000 morti e di circa 8.500 prigionieri.
I superstiti presero la via della fuga in Svizzera. Solo poche centinaia rimasero alla macchia, nei luoghi piu' selvaggi ed in condizioni disperate. Anche a loro Vittorio Amedeo II tolse ogni possibilita' di fuga pubblicando un editto, il 28 aprile 1686, in cui oltre ad ampliare i confini territoriali gia' individuati dal precedente editto di cacciata, puniva con la pena di morte chiunque avesse dato asilo ai Valdesi salvo che non li consegnasse entro le 24 ore al Giudice, al Podesta' o al Castellano.




Terminata con la vittoria la rapida guerra, al Duca toccava ora affrontare due grossi problemi: il mantenimento di tanti prigionieri (il che era troppo oneroso per il magro bilancio dello Stato) ed il ripopolamento cattolico delle Valli, necessario per l' economia del Paese.
Per risolvere questi problemi, il Duca fu costretto ad emanare tutta una serie di decreti, dal maggio 1686 al dicembre del 1689.


Innanzitutto occorreva interdire ai Valdesi la residenza delle Valli ( 23/ 5/ 1686 ); impedire che gli esuli vi ritornassero e censire quelli di cui era stata dichiarata lecita la permanenza, perche' "cattolicizzandi" ( 12/ 7/ 1688 ); tradurre in carcere i rientrati ( 14/ 12/ 1689 ).
Agli irriducibili alla conversione fu imposto l' espatrio a condizione che non fosse diretto in Svizzera, bensi' nella piu' lontana Germania, mentre i pastori, in funzione di ostaggi, vennero mantenuti prigionieri ( editto 3/ 1/ 1687 ). Non si tratto' quindi della concessione del beneficium emigrationis, ma di una vera e propria espulsione. Rispetto all'editto dell'aprile '86 , la posizione giuridica valdese appare aggravata. La' c'era per essi una opzione alla emigrazione: Qui si tratto' di una proscrizione.
Tutti i beni dei Valdesi, in quanto beni di ribelli, vennero avocati al demanio, tranne i migliori, che passarono direttamente al patrimonio privato del Sovrano ( editto 26/ 5/ 1686 ).


Per giustificare legalmente l'operazione di esproprio forzato, i Valdesi furono dichiarati rei di lesa maesta', reato che prevedeva, come sanzione, la confisca di tutti i beni.
Questa enorme estensione di proprieta,' che doveva necessariamente essere venduta perche' lo Stato si rifacesse delle spese di guerra, fini' per pochi soldi nelle mani di gente danarosa e di speculatori. Agli acquirenti fu imposto di ripopolare le terre comprate con gente di provata fede cattolica. Per facilitare ulteriormente sia la vendita dei beni che il ripopolamento, l'editto del 16 gennaio 1688 esento' da ogni imposta i beni confiscati ai Valdesi.


L'editto 3 gennaio 1687 non riservo' migliore sorte ai cattolicizzati.
Essi furono sottoposti a tutta una serie di osservanze, che sconfinarono in molteplici limitazioni della loro liberta' personale.
C' era una multa di due scudi d' oro per ogni messa saltata ed altrettanto per l'evasione dei precetti di Quaresima e dei giorni di magro. Vennero rinverdite tutte le minute osservanze del rito cattolico, imposte loro da Carlo Emanuele I (editto 18-12-1622).
Neanche la conversione consenti' loro la permanenza nelle valli. Con gli editti del 1687, uno del 3 gennaio e l' altro del 3 marzo 35 , vennero convogliati e sistemati nel Vercellese, dove c'era bisogno del lavoro nei campi e sottoposti a condizioni di semicattivita' , sotto la sorveglianza delle guardie regie e del clero.
Nessuno di essi, pena la morte, poteva tornare alle valli. La stessa pena era prevista per i relapsi, cioe' per quelli che avessero fatto ritorno alla religione valdese. (Si richiamava in vigore l'editto del 6 giugno 1565 di Emanuele Filiberto ). 48


A conclusione della emanazione di tutta questa serie di editti, fra il 1686 ed il 1689, e' necessario valutare quale fosse il nuovo regime giuridico per i valdesi, alla luce delle nuove leggi ,e quale fosse il rapporto di queste fra di loro.
E' fuor di dubbio che esse inaugurarono un regime di intolleranza, fino ad allora sconosciuto ai valdesi sabaudi.


Questo regime di intolleranza traeva la sua ragion d'essere da quattro editti fondamentali, tutti emessi in uno scorcio di tempo abbastanza breve, i primi mesi dell'anno 1686 (31 gennaio, 9 aprile, 28 aprile, 23 maggio ).
Pero', nella dinamica delle vicende, questo regime si stabilizzo' solo nel 1687, durando complessivamente, nella sua massima asprezza, due anni, ma estendendosi giuridicamente fino all' editto di Ristabilimento del 23 maggio 1694.

In questo pur breve periodo, il tetto di intolleranza raggiunto fu tale da superare le leggi prescrittive di un Luigi XIV e da avvicinare la politica ecclesiastica vittoriana a quella tristemente nota della monarchia spagnola.

I quattro editti dell'86, a cui si fa riferimento, mostrano chiaramente, nella loro successione, questo crescendo di intolleranza, che ha una brusca impennata allo scoppio della resistenza armata.
Pertanto i quattro editti vanno suddivisi in due gruppi.
Il primo comprende i due editti anteriori alla ribellione e l'altro i due editti ad essa posteriori.

Nei primi due editti viene interdetto il culto valdese, ma e' ancora possibile qualche forma di religiosita' domestica intrafamiliare, cioe' e' possibile ancora la liberta' di coscienza e l'esercizio segreto ed individuale della religione. Non e' prevista, giuridicamente, alcuna forma di abiura coatta.
Anche l'emigrazione si presenta sotto una forma di scelta, alla quale il valdese puo' aderire, ove ritenga che la sola liberta' di coscienza non gli sia sufficiente.

Nella seconda coppia di editti invece, si chiede la consegna dei valdesi irriducibili, l'interdizione assoluta a permanere nelle valli o nel Piemonte, l'espatrio coatto.
Questo innalzamento dell'intolleranza fu certo favorito dalla qualifica di "ribelli e rei di lesa maesta'", nella quale i valdesi incorsero per la loro resistenza armata, ma rispondeva anche meglio alle personali convinzioni del principe e alle necessita' della sua politica, legata alla Francia ed alla Chiesa.


Lo scopo ultimo di questa legislazione, nella quale cosi' bene si sposavano nel principe convinzioni religiose personali, ragioni ideologiche, calcolo politico, ragion di stato ed interessi diplomatici era quello manifesto di evacuare totalmente il Piemonte dagli eretici.


1.3 Con l' editto del 25 settembre 1686, venne solennemente proclamata la restaurazione del culto cattolico, la creazione di parrocchie, la costruzione di chiese.


Rimase il problema oneroso dei prigionieri.
Dopo aver cercato vanamente di venderli come galeotti a Venezia, il Duca dispose che fossero avviati all' esilio sotto la guardia di truppe di scorta.
Dovevano rimanere in Piemonte solo i pastori trattenuti in carcere come ostaggi, i ragazzi sotto i 12 anni, le ragazze sotto i 10 , per essere educati nella fede cattolica.


Ma il duca aveva commesso un grosso errore di valutazione nel trattenere in carcere maestri e pastori e nel non restituire i bambini.

L' ingiusta sorte dei bambini e dei pastori, fu certo una delle cause che sollecito' sempre nei Valdesi il desiderio del ritorno.

Ma un'altra e non secondaria fu quel naturale amore del suolo natio, cosi' forte nei valdesi tanto da portare in pochi anni all' estinzione di quell'altra comunita' valdese cattolicizzata e trapiantata a forza nel vercellese.
Piu' volte gli esuli tentarono la via del ritorno.
I primi tentativi, poco organizzati e senza fondi economici, fallirono miseramente.

Solo sotto la guida di un forte capo, il ministro Arnaud, e, sotto l'egida di Guglielmo d'Orange 35 , all' alba del 27 agosto 1689, dopo due anni e mezzo di esilio ed una marcia di 200 chilometri in alta montagna,, 972 valdesi realizzarono con successo l' impresa del ritorno nelle valli.
Questa epica impresa, nota alla storia come "Glorioso Rimpatrio ", sorti' l' effetto voluto. Ma neanche gli enormi sacrifici, che questa anabasi era costata e l'appoggio di tutto il protestantesimo europeo, sarebbero stati sufficienti a garantire il reinsediamento valdese , se ad esso non fosse addivenuto e non lo avesse favorito lo stesso duca Vittorio Amedeo II.

Quando i valdesi esuli giunsero in cima alle alture delle loro valli, il sovrano sabaudo aveva gia' maturato l'intenzione di volgere le spalle allo scomodo alleato francese e di aderire alla lega di Augusta, capeggiata da Guglielmo III di Orange.

La questione valdese si prestava ad essere , per il sovrano, un utile " instrumentum regni ", una merce di scambio per patteggiamenti internazionali, che secondassero la sua ambiziosa politica espansionistica


2. La svolta politica di Vittorio Amedeo II e il trattato dell'Aja


2.1 Il rimpatrio avveniva mentre Francia e Piemonte erano collegati in alleanza militare contro la Lega di Augusta 48 , organizzata per contenere lo strapotere del Re Sole.


La guerra era in atto gia' dal 1687.

Pertanto gli esuli valdesi che rimpatriavano a marce forzate non trovarono difficolta' nella conquista delle alture, sguarnite di truppe.
Ben diversa fu la situazione nelle vallate, dove si era rafforzato ad attenderli l' esercito franco-piemontese.
Ma il Duca indugiava ad affrontare la lotta contro i Valdesi.
Vittorio Amedeo aveva cominciato a scorgere, nella Lega di Augusta, una qualche possibilita' di sganciarsi dalla subalternita' alla Francia e di ricavare ingrandimenti territoriali per il suo Ducato. Ora la presenza di un cosi' numeroso esercito francese nel suo territorio lo preoccupava non poco e gli era di ostacolo a quel voltafaccia politico che andava maturando nelle sue intenzioni.

Luigi XIV giustificava l'insediamento in Piemonte con l'arrivo degli eretici nelle Valli.


Pertanto, per liberarsi della presenza francese, il Duca cerco' di avviare trattative riservate con i Valdesi, offrendo loro onorevoli condizioni di resa ed il salvacondotto regale per ritornare in Svizzera.
La risposta dei Valdesi, che qui si riporta, si presta ad una serie di considerazioni sul concetto che quel popolo ebbe dei diritti della persona:
"... noi non siamo entrati in questo Paese per uscirne di nuovo, che' noi non vogliamo affatto i beni altrui, ma solo l' eredita' che Dio ha concesso da lungo tempo ai nostri padri e che noi abbiamo posseduto fino ad ora , non avendo altro scopo che quello di ristabilire le nostre famiglie, in piena tranquillita', nella loro terra natia, mentre ora sono disperse in mezzo ai popoli, dei quali non intendono nemmeno la lingua.
E' vero che Dio comanda di non prendere le armi contro re e contro principi, e vieta di spargere sangue innocente: ma noi non siamo colpevoli di questi delitti, poerche' non abbiamo mai preso e vogliamo prendere le armi contro alcun sovrano, ma solo difenderci da quelli che bruciano il nostro grano e le nostre case, che straziano il suolo natio che Dio ci ha dato da tempo, senza che noi siamo colpevoli di alcun delitto e senza che abbiamo fatto loro alcun male.
Il nostro scopo non e' se non questo:
passare in pace gli ultimi anni di vita che Dio ci riserva, dando a Dio cio' che gli appartiene ed a Cesare cio' che gli e' dovuto..." 35 . Fallito questo tentativo e costretto ad accelerare i tempi del suo passaggio di parte, Vittorio Amedeo opto' per accettare il rimpatrio come un fatto compiuto, anzi per favorirlo, rendendo noto agli esuli che era concesso il rientro in patria.

Infatti l'arrivo degli esuli poteva essere sfruttato doppiamente con vantaggio.
Si poteva usare la loro notevole capacita' militare ed il loro indiscusso amor di patria, per farne un antemurale contro l'esercito francese.

Tramutando il rimpatrio da una azione di fatto in un fatto di diritto, il Duca avrebbe potuto avere piu' vantaggiose condizioni nella alleanza che intendeva stipulare con Olanda ed Inghilterra, nazioni che avevano tanto a cuore la questione valdese.

Stante queste premesse, nonostante che il Corpo militare francese ammontasse a 4.000 uomini, la tiepidezza dell' appoggio del Duca alla spedizione, la disperata lotta dei Valdesi e la perfetta conoscenza che questi ultimi avevano dei luoghi, prolungarono gli scontri dal settembre 1689 al giugno del 1690.
Il 4 giugno, perfezionate le trattative segrete con Olanda e Inghilterra, il Ducato di Savoia dichiarava inaspettatamente guerra alla Francia e faceva prigioniero, a sorpresa, l' esercito francese presente nel territorio sabaudo. 35 2.2 La spregiudicatezza del Duca ebbe il suo massimo risalto, nelle trattative diplomatiche che portarono a quella alleanza.
Per accattivarsi le simpatie, ma soprattutto l'aiuto economico e militare di Olanda ed Inghilterra, Vittorio Amedeo II accondiscese a firmare un trattato internazionale contenente alcuni articoli segreti disciplinanti il reinserimento e il ristabilimento dei valdesi nelle Valli.
Per Olanda ed Inghilterra i caposaldi del trattato dovevano consistere in cio';
il Duca doveva assumersi il mantenimento dei Valdesi e dei rifugiati francesi che si trovavano a combattere nelle valli sotto la sua bandiera;

in secondo luogo, con un articolo del trattato, si doveva impegnare a ristabilire completamente i Valdesi nelle valli, con il godimento dei privilegi e delle liberta', di cui avevano usufruito prima dell'esilio.

In cambio Olanda ed Inghilterra avrebbero passato al Duca un sussidio mensile di trentamila scudi. Le maggiori difficolta' insorsero quando si tratto' di meglio specificare i termini della convenzione; i rappresentanti inglesi ed olandesi chiedevano che il Duca si obbligasse a dichiarare il ristabilimento con un pubblico editto.
In esso si doveva esprimere che si restituivano ai Valdesi tutti i loro beni di qualunque sorta; che si riconfermavano i privilegi, le esenzioni, le immunita' e liberta', di cui essi avevano goduto in virtu' degli editti e trattati del 1561, 1603, 1655, 1664;

che si lasciavano infine i fanciulli, loro tolti nel 1686, in liberta' di tornare presso i loro parenti e di professare il culto paterno senza pericolo di molestia.

Filippo De la Tour, consigliere di Stato e delegato del Duca, aveva avuto mandato di promettere una politica di tolleranza; ma questa si sarebbe dovuta esternare in un articolo del trattato che si andava a firmare,articolo dal contenuto generalissimo, quasi una sorta di amichevole promessa di raccogliere i Valdesi nelle valli.

Tuttavia, le pressioni dei paesi protestanti, insoddisfatti dalla genericita' del De la Tour, e la impellente necessita' per i Savoia di ottenere i sussidi economici promessi, costrinsero il duca ad accettare le condizioni imposte, piu' garantiste per i valdesi. Il trattato fu firmato all'Aja, il 20 ottobre 1690.
Da parte loro, anche Olanda ed Inghilterra dovettero cedere su alcuni punti: l'Olanda avrebbe pagato anticipatamente, rispetto all'effettivo ristabilimento dei Valdesi, l'importo di tre mesi di sussi dio: gli altri Stati protestanti avrebbero assunto a loro carico il mantenimento dei Valdesi per altri tre mesi: l'articolo in favore dei Valdesi, per volonta' esplicita del duca, sarebbe rimasto rigorosamente segreto.


Egli addusse, per giustificare la sua richiesta, che non gli fosse negato di presentarsi ai suoi sudditi come unico loro benefattore.
Soprattutto su quest'ultimo punto della segretezza, i delegati europei fondavano i loro timori: il Duca avrebbe potuto far trascorrere molti anni prima di emettere il relativo editto o, a pace avvenuta ed ottenuti i suoi scopi, avrebbe potuto non emetterlo del tutto.

Il che, data la complessa personalita' del Duca, non era del tutto impossibile.

Le loro paure erano fondate: furono necessari ben quattro anni e numerosi interventi e pressioni per ottenere l'editto. 48
3. Il ricostituirsi del ghetto alpino sotto il padrinato anglo-olandese


3.1 La nuova politica di tolleranza vittoriana, che prende avvio dal 1690, poggia su due pilastri giuridici fondamentali:

l'editto di Ristabilimento del 1694 e le Costituzioni piemontesi del 1730 a cui fece seguito l'editto del 20 giugno 1730 ( Vedremo poi in seguito, in particolare, quale rapporto passi tra le Costituzioni e l'editto emesso nello stesso anno).

In entrambi i casi queste leggi ebbero la genesi in fattori di politica internazionale, interessanti il sovrano, ed in concomitanza a questi, nelle pressioni delle potenze protestanti, della cui amicizia il sovrano sabaudo necessitava.

Esaminiamo la prima di queste leggi, l'editto del 23 maggio 1694, detto editto di Ristabilimento.
E' stato storicamente provato che solo per la incessante pressione anglo-olandese, il Duca onoro' l'impegno dell'articolo segreto contenuto nel trattato dell'Aja, emanando 35 finalmente l'editto di tolleranza, detto appunto di ristabilimento, che garantiva l'esistenza dei Valdesi nelle loro terre.

Dopo una ampia premessa, nella quale il Duca a giustificazione della sua precedente intolleranza, sosteneva:
"... di essere stati obbligati (ad essa) dalle reiterate e premurose istanze di prepotenze straniere",
l'editto prevedeva piena remissione e grazia dei delitti perpetrati dai Valdesi in contravvenzione agli editti del 31 gennaio e del 9 aprile 1686;

revocava i due predetti editti fatti in odio ai religionari e annullava le sentenze e gli altri fatti in esecuzione di essi:

ordinava la immediata liberazione di tutti coloro che si trovavano ancora carcerati: consentiva a chiunque della religione riformata, anche se non suddito sabaudo, purche' non francese, di stabilirsi nelle valli, dietro giuramento di fedelta' al Gran Cancelliere;

permetteva a tutti i ragazzi valdesi, sottratti ai loro parenti, di tornare liberamente alle valli e di fare professione della loro fede;

restituiva ai religionari il libero possesso di tutti gli antichi diritti, leggi, usi e privilegi, relativi alle loro abitazioni, negozi, commerci e professioni;

li rimetteva nel possesso di tutti i beni di cui godevano avanti gli editti dell'86 e concedeva loro di acquistare beni di provenienza cattolica, purche' limitati alle zone loro consentite;

( con un ordine del 30 aprile 1697, si provvide al censimento della popolazione ed alla ricostituzione del catasto, per una migliore disciplina del ristabilimento stesso. Dal censimento la popolazione risulto' ridotta a circa seimila abitanti. 22 ).

vietava agli ufficiali fiscali ed ad ogni altro, ( si intendeva l'Inquisizione ), di molestare oltre i valdesi e quei cattolicizzati che avessero voluto ritornare all'antica religione. 48 Emesso l'editto,il duca, comunque, si adopero' a fare conoscere alla Santa Sede, le ragioni perentorie che lo avevano costretto alla pubblicazione, sperando che esse fossero accolte.
All'uopo invio' un delegato, il Provana, presso alcuni famosi teologi e presso la Santa Sede, per tastare il terreno.

La risposta della Chiesa non tardo'.

La Congregazione del Santo Uffizio denucio' l'editto e ordino' al clero piemontese di " tenerlo per nulla ". Il tribunale della Santa Inquisizione invece sanci': "... che non possi in coscienza il Principe proibire che non possino essere molestati quelli religionari che hanno abiurato... ".

Dinanzi alla inflessibilita' ecclesiastica, il Duca, visto lo stato di guerra in cui si trovava ancora il paese e consapevole dei suoi impegni con i paesi protestanti, incarico' il Senato di Torino 48 di annullare il decreto pontificio, vietandone la pubblicazione nei suoi stati, sotto pena di morte. 35

3.2 Vittorio Amedeo regno' fino al 1730. Nel ventennio successivo all'emanazione dell'editto e fino alla abdicazione del sovrano, assistiamo alla promanazione di altri provvedimenti legislativi, che sono stati oggetto di grande atten zione, perche, a prima vista, sembrano antitetici con il sopracitato editto e sembrerebbero ripristinare una politica di intolleranza.
La questione se le leggi posteriori al'94, intacchino o meno i diritti e le liberta' concessi ai valdesi con l'editto di quell'anno, va esaminata da due punti di vista:

occorre chiedersi quale fosse la vera natura giuridica di quell'editto, per valutare se editti posteriori avessero forza di modificarlo;

occorre poi esaminare nello specifico questi editti per evidenziare dove e in che modo si manifestasse questa nuova rinnovata intollerabilita' e in che cosa essi ledessero diritti e liberta' concessi nel '94.
Bisogna infine distinguere la politica del sovrano nei confronti dei religionari della valle di Pragelato, da quella verso i religionari delle valli valdesi.Questa ultima questione e' tale che il risolverla e' facile.


Certamente nei confronti dei pragelatesi di religione valdese, Vittorio Amedeo si dimostro' di estrema durezza ed intolleranza.
Come vedremo, egli ritenne di agire nel suo pieno diritto a fare cio'e di non essere vincolato nelle sue scelte ad alcun impegno, per non essere i pragelatesi tutelati nei trattati del 1690 e del 1704, con i quali si era impegnato alla tolleranza, ma dipendendo essi, totalmente dalla sua volonta' sovrana.

La problematica quindi puo' essere posta solo sulle due questioni precedenti: la modificabilita' o meno dell'editto 1694 e il maggiore o minore inasprimento della legislazione verso i valdesi ,tra 1694 e il 1730.



3.3 Esaminiamo la natura giuridica dell'editto del 1694.

Piu' che di un editto normale, infatti, si trattava di quella che, in linguaggio giuridico moderno, e' detta "una legge direttamente e formalmente imposta."
Infatti quella legge interna era stata emanata in esecuzione di un trattato internazionale.
Era una legge che non dipendeva piu' dalla volonta' del sovrano tale che egli potesse abrogarla a suo piacimento.
La sua volonta' era vincolata dall'obbligo giuridico che egli aveva assunto con quel trattato.

Ne derivo' che con l'editto del 1694, il valdismo non fu piu' soggetto alla personale tolleranza di un sovrano, ma ad una tolleranza basata su un accordo internazionale, che le conferiva carattere di irrevo cabile stabilita', almeno fino a quando quel trattato internazionale non fosse stato denunciato.

Cio' comportava non solo una maggiore garanzia, a favore dei Valdesi, circa l'effettiva applicazione delle disposizioni in esso contenute, ma soprattutto una maggiore resistenza giuridica nel rapporto con le altre fonti normative interne. 35 Ma, se questa e' la corretta valenza giuridica di quel trattato, ben diverso e' l'accoglimento di questa nella volonta' del sovrano, specialmente un sovrano assoluto, quale si configurava quello sabaudo. Posti dinanzi al problema del rispetto del trattato, Vittorio Amedeo II e suo figlio, Carlo Emanuele III, ebbero due diverse risposte.
Vittorio lo rispetto' sempre, almeno da un punto di vista formale, e, quando ebbe in animo di riordinare la materia valdese con un nuovo editto, (quello del 1730), ne invio' copia del progetto a Londra per avere assicurazione che esso non sarebbe spiaciuto.


Carlo, invece, nonostante le rimostranze dei Paesi protestanti e i continui richiami agli impegni internazionali del 1690 e del 1704 e alla loro fedele applicazione, tenne duro nella sua intransigenza, che in alcuni punti violava effettivamente quegli impegni. In secondo luogo non c'e' inasprimento legislativo per i valdesi delle Valli, fra l'editto del 1694 ed il successivo del 1730.
Si puo' anzi, individuare un collegamento logico, nelle strette maglie del diritto, fra quella legislazione e le seguenti.

Il Viora, che è un deciso sostenitore di questa tesi, la suffraga, partendo dalla analisi del concetto di tolleranza.
Egli evidenzia che lo stesso concetto di tolleranza, cosi' come esso e' per sua natura concettuale e per come fu previsto dall'editto, non comporta la piena liberta' religiosa, ma implica di per se', un concetto di limitazione.
Queste limitazioni erano implicite nel dettato dell'editto del 94; queste furono riportate alla luce e ribadite in quello del 30.

A stretto rigore giuridico, tranne che per la questione dei cattolicizzati, non si puo' dire che l' editto successivo e le Istruzioni che lo accompagnarono, abbiano tolto qualcosa che l'editto del 1694 aveva concesso in piu'. Quell'editto di Ristabilimento, il nome stesso lo dice, era stato di un duplice ristabilimento: nelle valli e nelle antiche leggi.
L'editto del 1730 non fa altro che richiamarsi a queste e a rinverdirle tutte, (a partire da quelle del primo duca Amedeo VIII, agli inizi del 1400), pur se molte risultavano abrogate o cadute in disuso.
Tre secoli e mezzo di storia apparivano un punto, agli occhi del principe e dei suoi consiglieri. Per loro i valdesi andavano imbalsamati nelle vecchie prescrizioni, al di la' dell'evolversi dei tempi e dei costumi.


Si spiega cosi' che lo stesso ordinamento che i suoi antenati avevano ritenuto liberta' nel 1500 o nel 1600, apparisse, agli occhi di un valdese del 1700, una crudele angheria.Non e' tanto, quindi, che fosse mutata la politica del sovrano nei loro confronti, quanto e' che erano mutati i valdesi.
Aveva contribuito a questo da un lato la naturale evoluzione generazionale, che e' comune a tutti i gruppi sociali ,dall'altro la crescita interiore dovuta alle sofferenze, all'esilio,alle esperienze di liberta' vissute presso altri popoli o di cui erano venuti a conoscenza.


L'intolleranza di Vittorio Amedeo non si tradusse in termini legislativi nella promulgazione di nuove leggi, ma si estrinseco' nella iniquita' di rinchiudere i valdesi nella camicia di forza di leggi vetusta e superate dai tempi.
Vittorio Amedeo II, a ben vedere , quando dovette essere tollerante, uso' la tolleranza legiferata dai suoi predecessori, nei limiti e nelle forme in cui questi la concessero.Di suo , emano' solo un editto, quello di intolleranza del 1686.


Il fatto e' che l'intolleranza fu una caratteristica precipua dell'animo del principe e dei suoi consiglieri.
Percio', fatto salvo il dettato della legge e l'amicizia sempre utile dei Paesi protestanti, nessun espediente fu tralasciato per fare delle leggi un uso tale che tornasse il minimo possibile a vantaggio di quella categoria per disciplinare e garantire la quale erano state emesse.


3.4 In questa logica, non appare contrario alle guarentigie del 1694, l'editto del 1 luglio 1698, con cui il duca vieto'l'ingresso nel suo stato ai valdesi francesi ed impose, sotto pena di persecuzioni corpo rali, a tutti i Valdesi che abitassero nelle valli di Luserna, di non avere alcuna forma di comunicazione, in fatto di religione, con i sudditi di Sua Maesta' francese. Ordino' poi, ai residenti frencesi valdesi delle dette valli, quantunque fossero ministri, di allontanarsi dalle stesse nel tempo massimo di due mesi, pena la vita, e di alienare nello stesso termine tutti i loro beni. 35



Alla luce di tale editto, dovettero emigrare dalle valli tutti coloro che vi si erano stabiliti durante la guerra con la Francia e che erano sudditi francesi.
Dietro questo editto ci sono due logiche, una politica e l'altra giuridica.
Per la prima basti dire che la guerra contro la Francia era finita gia' l'anno precedente e che il Duca sabaudo volgeva la mente a come ingraziarsi il potente vicino e farsi perdonare.

Per la seconda occorre ricordare che nell'editto del 94, nel dare accoglienza nelle Valli ai rifugiati per motivi religiosi e nel parificarli ai religionari del posto, il sovrano aveva eccettuato i francesi:
" ...a favore delli quali, questa concessione si stendera' indifferentemente durante la presente guerra..."
Pertanto, a rigor di termini, le disposizioni del 1698 non contrastavano con l'editto del 94.
Il fatto che quei valdesi francesi avessero combattuto sotto le sue bandiere durante la guerra, non era per un Vittorio Amedeo un motivo di ragion sufficiente.

Questa intolleranza, quindi, a stretto rigore, riguardo' cittadini stranieri e non propri sudditi.


Cronologicamente dopo di questo, segui' l'editto che riguardava i valdesi della Pragelato.
Ecco come questo si determino'.

Agli inizi del 700, nuovamente i Valdesi furono al centro della politica internazionale di Vittorio Amedeo II.

Il dominio e l'enorme forza della Francia preoccupavano sempre piu' le potenze europee.
Un nipote di Luigi XIV si apprestava, legittimamente, a salire sul trono di Spagna.

Le potenze europee si strinsero in una nuova alleanza, la Lega dell'Aja, contro la Francia ed i suoi alleati. Spagna e Ducato di Savoia.

La guerra, detta di successione spagnola, (1700-1714), durava gia' da tre anni quando il Duca, spinto dalla sua ambizione e dal desiderio di includere nei suoi domini la val Pragelato francese, muto' partito, entrando a fare parte della lega dell'Aja.

Anche questa volta, come nel 1690, la sua migliore credenziale presso gli Stati protestanti, fu rappresentata dalla presenza valdese nelle Valli.
A riguardo di questa, gli accordi con l'Inghilterra e con l'Olanda furono siglati nel 1704 , in un articolo segreto, che ricalcava quello del 1690.
Il sovrano si impegnava al mantenimento dell'editto del 1694 e consentiva alla medesima tolleranza nella Valle di Pragelato, che chiedeva gli fosse assegnata nel trattato di pace.

Purtroppo le operazioni militari andarono in modo che l'occupazione di questa valle fu merito dei piemontesi e che egli non la ricevesse con i trattati che chiusero quella guerra.
Il passaggio avvenne mediante un trattato bilaterale con la Francia, alla quale il Duca cedette la valle cattolica di Barcellonetta.

Con editto del 1 febbraio 1716, il Re sabaudo decideva di lasciare in vigore nel Pragelato tutte le precedenti disposizioni francesi, tra cui naturalmente anche quelle relative ai culti acattolici, ispirate a criteri di dura intolleranza.
Inoltre, poiche' i pragelatesi valdesi, a seguito della chiusura dei templi, iniziarono a celebrare i loro culti in case private, Vittorio Amedeo II impose l'osservanza delle precedenti disposizioni francesi,attraverso rescritti e regi biglietti ed il Senato di Pinerolo statui' il 21 aprile 1721 che tutti i nati dovessero essere battezzati con rito cattolico entro 24 ore dalla loro nascita. 48 Alle proteste di Olanda ed Inghilterra, il sovrano rispose che, avendo conquistato Pragelato con le sue armi, non era legato, per quel rispetto all'articolo segreto del 1704.


4. Le Costituzioni piemontesi

4.1 Nel 1713 Vittorio Amedeo II con il trattato di Utrecht, ricevette la corona regia ed ebbe notevolmente ingranditi, quasi del doppio, i suoi territori. 35 Uno dei suoi primi interventi legislativi fu quello di riunire in un unico corpo la legislazione emanata precedentemente, a partire dal primo duca Amedeo VIII.
Si trattava di un coacervo di leggi, di una selva giuridica, in cui era arduo mettere mano.
In questa nostra ricerca ci siamo potuti rendere conto di come i vari editti e provvedimenti riguardanti la confessione valdese nello Stato sabaudo, si siano succeduti rapidamente l'uno dopo l'altro.
Cio' non solo creava difficolta' di studio e di ricerca, ma soprattutto non dava certezza nel diritto in quanto, molto spesso, gli editti emanati successivamente abrogavano implicitamente o solo in parte gli editti precedenti.
Nella creazione di un corpo unico di leggi, e' chiaro che l'impostazione del lavoro richieda una precisa metodologia.

Vittorio Amedeo II, a tal proposito, affido' ad un compilatore 35 l'incarico di raggruppare tutti gli editti ancora in vigore, in un corpo unico di leggi, le "Costituzioni piemontesi".
Lo Zoppi vi comprese tutti gli editti, sia quelli che avevano carattere generale, perche' relativi a tutti i cittadini ed a tutto il territorio, sia quelli che avevano carattere particolare, perche' relativi a determinate zone o categorie di sudditi.
Vi rientrarono quindi anche tutti gli editti concernenti i valdesi.
Ma tale compendio apparve troppo vasto e poco funzionale all'uso.

Affidato l'incarico ad un nuovo collegio, si opto' per comprendere nelle Costituzioni solo gli editti generali.
Furono esclusi quindi dalle Costituzioni tutti gli editti concernenti i valdesi ed anche quello del 1694, cioe' l'editto di Ristabilimento, che aveva carattere particolare sia soggettivamente che territorialmente. 35 La cosa forse piu' grave fu che nel proemio del compendio il duca volle precisare che tutti gli editti che non erano ricompresi in quella raccolta si dovevano ritenere totalmente abrogati. Alla notizia, grande fu lo sgomento dei valdesi ed il disappunto delle Potenze protestanti.
Il " trattato" del 1694 fu dato per abrogato, insieme a tutti i precedenti editti che regolamentavano la condizione valdese.

Il che , non solo determinava un netto peggioramento della condizione giuridica dei valdesi, qualora fosse stata regolata dal sol regime delle Costituzioni, ma apriva anche il problema sulla abrogabilita' o meno dell'editto del 94.


Abbiamo gia' affrontato, al momento della sua emissione, il problema della portata di questo editto. Il Viora e' un deciso sostenitore della sua inabrogabilita', 35 vista la sua base formativa nel trattato dell'Aja del 1690.
Il duca sabaudo aveva, secondo il Viora, assunto l' obbligo di emanare l'editto e che " ....tale obbligazione si estendeva evidentemente altresi' al dovere di mantenere immutato per l'avvenire lo stato giuridico...." dei Valdesi.
Avendo quindi stretto un ".... obbligo giuridico da trattato internazionale.... " con i paesi protestanti, Vittorio Amedeo II non avrebbe mai potuto senza, il loro consenso, abrogare tale norma. 22 Non possiamo aderire alla tesi proposta dal Viora, per un duplice ordine di motivi:
un problema di fonti giuridiche non puo' essere risolto, portando a sostegno delle opinioni in campo, riferimenti di carattere etico, morale, o di correttezza giuridica.

Vittorio Amedeo II fu un sovrano assoluto e, come tale , in grado di modificare a suo beneplacito anche gli editti da lui stessi promanati.
Certamente la natura dell'editto del 1694 era piu' complessa e quindi "imposta"; ma la disinvolta natura del Duca lasciava poco adito a speranze di correttezza giuridica internazionale.


La storia ci insegna come, appena le situazioni lo rendano piu' opportuno o cambi il rapporto di forza, gli Stati tendono a violare i trattati internazionali.
Hitler li aveva definiti " pezzi di carta ".
Quindi, non e' certo la violazione degli obblighi assunti con essi, che puo' risolvere un conflitto di norme giuridiche.

Entrambe le norme, editto del 1694 e Costituzioni Piemontesi, avevano uguale forza giuridica nel rapporto delle fonti: ben poteva, quindi, la seconda abrogare esplicitamente la prima, anche per un semplice motivo di successione cronologica.




La compilazione, cosi' ultimata, vale a dire con la totale esclusione degli editti per i valdesi, prese il nome di Costituzioni piemontesi e fu pubblicata nel 1723. 22 4.2 Date le premesse e il modo in cui la raccolta fu effettivamente svolta, non e' difficile intuire che tale compendio non incontro' il favore dei Valdesi.
Quasi tutte le norme di intolleranza religiosa, di qualsiasi forma e tipo fossero le confessioni, erano state norme di carattere generale, mentre le norme di concessioni favorevoli erano state sempre a carattere particolare.

Con l'abrogazione degli editti particolari i valdesi andavano a perdere il frutto di un patrimonio di lotte,di sofferenze,di vittorie, che li aveva portati a ristabilirsi nelle valli dopo il Glorioso Rimpatrio e a godere della tolleranza piu' ampia e garantita che avessero mai avuta.

Poiche' avevano carattere generale, nel compendio, ripresero forma e vigore tutte quelle norme che avevano stabilito privilegi per la religione cattolica e che avevano sancito una serie di limitazioni alla capacita' giuridica degli acattolici.
Alcuni esempi possono forse chiarire lo stravolgimento portato dalle Costituzioni nella gia' complessa situazione giuridica dei Valdesi.

Un decreto di Amedeo VIII, aveva stabilito che nessuno, tanto suddito, che forestiero abitante nel Regno, avrebbe potuto esercitare alcuna forma di attivita' pubblica ( fiere, mercati, compravendite etc. ), nei giorni di festa riconosciuti dalla S.Madre Chiesa.
Un decreto del genere, di tre secoli prima, riprendeva immediatamente vigore anche se, durante quegli, anni erano state emanate norme che ne avevano limitato o perfezionato la portata, come un editto recentissimo, proprio di Vittorio Amedeo II, che aveva concesso ai Valdesi di lavorare anche durante le festivita' ritenute tali dalla Chiesa cattolica premesse alcune formalita'.


Anche la professione di notaio dovette subire i nuovi disposti del compendio.
Pur avendo Carlo Emanuele II disposto che la professione di notaio era compatibile con la fede nella religione riformata 35 , riprendeva ora vigore il divieto assoluto per i Valdesi di esercitare tale professione, cosi' come era stato disposto gia' da Amedeo VIII.


Ma si riapriva anche una delle questioni piu' ostiche, quella relativa ai favori verso coloro che si convertivano.

Disponevano infatti le Costituzioni:

colui che avesse abbracciato la confessione cattolica, avrebbe potuto costringere i congiunti e gli obbligati, al versamento degli alimenti e a detrarre la legittima, nei limiti delle loro capacita'; i genitori avrebbero dovuto consegnare alle figlie convertite la dote, tanto per la monacazione quanto per il matrimonio;

per rimuovere ogni frode a danno della legge, si sarebbe dovuto fare un preciso inventario dei beni posseduti dalla famiglia, non appena un figlio o una figlia avesse abbandonato " l'eresia ",onde non venisse punito dai genitori con la sottrazione della sua parte di eredita'.


Inoltre con le Costituzioni veniva dichiarato inammissibile ogni forma di sussidio eventualmente compiuto da Stati stranieri a favore di sudditi sabaudi sotto pena della perdita dell'impiego, del feudo o di essere dichiarati ignobili ed incapaci di qualsivoglia onore.

Basta ricordare quanto erano stati utili i recenti sussidi economici forniti dagli Stati protestanti, in primo luogo Olanda ed Inghilterra. Essi erano stati elargiti in seguito al trattato dell'Aja del 1690, per agevolare il reiserimento nelle valli dei Valdesi esiliati dopo il 1686.


4.3 Con la pubblicazione delle Costituzioni, inizio' una innumerevole quantita' di processi, contro i Valdesi, in applicazione delle nuove norme. Il Sinodo valdese sollevo' proteste indirizzandole in forma di suppliche a Vittorio Amedeo II e richiedendo l'intervento degli Stati protestanti, nonche', quello dell'arcivescovo di Canterbury, primate della chiesa anglicana. e del ministro inglese Mollesworth ,residente in Torino 35 .
Ma, per la soluzione dei nuovi soprusi, piu' che le suppliche ed i memoriali dei Valdesi, valsero maggiormente le insistenze del ministro Mollesworth.
Vittorio Amedeo II, pressato sempre piu' da Londra diede incarico a due magistrati appartenti al Senato di Torino, il Cotti e il Riccardo, di redigere dei progetti di risposta ai memoriali presentati dai Valdesi.

Ma, mentre si stava redigendo la risposta alle suppliche, arrivo' la relazione del senatore Marelli del Vert sull'ispezione da lui condotta nelle valli, per incarico del sovrano.
Tale relazione metteva in luce che, pur essendo stati effettivamente lesi nelle loro liberta' dalle Costituzioni, i Valdesi, nel corso negli ultimi decenni, avevano compiuto una serie di effrazioni agli editti emanati precedentemente al 1686, i quali, abrogati esplicitamente dagli editti di persecuzione, erano rientrati in vigore dopo l'emanazione dell'editto di tolleranza del 1694.



Essi avevano, per esempio, acquistato dei beni immobili al di fuori dei limiti territoriali stabiliti dall'editto del 25 febbraio 1602; od ancora, avevano edificato un nuovo tempio in S. Bartolomeo nel 1692, quando l'editto di ristabilimento aveva sancito il divieto di fabbricarne altri oltre quelli gia' esistenti precedentemente al 1686.
Ma, cosa forse tra le piu' gravi, sosteneva Marelli del Vert, era che l'editto di ristabilimento aveva sancito che potessero tornare nelle valli solo quei valdesi che si erano cattolicizzati nelle valli nel periodo delle persecuzioni, cioe' tra il 1686 e il 1694, poiche' si era trattata di una conversione forzata.

Invece era avvenuto che erano stati molti i Valdesi, cattolicizzatisi in altre occasioni, che, profittando della possibilita' concessa ai cattolicizzati delle persecuzioni, erano tornati non solo alla loro confessione, ma finanche ad abitare nelle loro valli.


Vittorio Amedeo II, venuto a conoscenza di tali reati compiuti dai Valdesi, fece presente al ministro Mollesworth che era sua intenzione emanare dei provvedimenti in favore dei Valdesi, ma preciso' che a causa di tali reati era anche intenzionato a riaffermare le antiche limitazioni poste dagli editti non rispettati.
Avrebbe quindi emanato un editto in cui, accanto alle risposte alle suppliche del Sinodo, si sarebbero dettate regole, intese a riconfermare le vecchie limitazioni al culto valdese e la tolleranza nell'ambito delle antiche leggi.
Tale editto sarebbe stato formato e stilato di comune accordo con il ministro inglese.


Nel 1725, un consigliere, rimasto anonimo alla storia, suggeri' al duca di operare in modo diverso: emanare un aggiunta alle Costituzioni piemontesi che ne avesse la stessa forza giuridica e che ne fosse parte integrante.
In tale appendice sarebbero state inserite non solo le norme sui Valdesi per ripristinare lo status quo ante, ma anche tutta una serie di precisazioni e correzioni in altri campi del diritto, stravolti dalla frettolosa stesura delle Costituzioni del 1723.


Il consigliere suggeriva anche di redigere un regio biglietto, da spedire al Senato di Pinerolo, in cui si specificavano tutte le cautele ed i temperamenti con cui si dovevano applicare le norme sui Valdesi. Le due proposte del consigliere furono accettate e si stilo' subito l'articolo da inserire nell'appendice alle Costituzioni ed il relativo Biglietto.

Mentre tutto era pronto per la pubblicazione dell'appendice e la spedizione del Biglietto, Vittorio Amedeo II, nonostante i pareri espressi dai suoi consiglieri, volle operare in maniera totalmente diversa.



Decise infatti, di non operare una aggiunta alle Costituzioni, ma di farle rivedere e costituire in un corpo unico, inserendovi organicamente l'appendice.
Non volle pero' che vi fosse inserito il promesso editto sui valdesi, sia perche' le Costituzioni dovevano rimanere una legge generale, sia perche' non era mai spenta nel suo animo la speranza che la religione protestante dei propri stati , potesse un giorno:
"rendersi superflua, o abolirsi, o mutarsi" Per ovviare al vuoto normativo in cui versavano i valdesi, opero' in due sensi:stabilì di togliere dalle nuove Costituzioni del 1729, " tutte le disposizioni concernenti gli eretici, e di non fare dei valdesi menzione alcuna nelle Costituzioni "; 48 procede' alla emanazione di un editto che disciplinasse la materia valdese, il cui contenuto altri non era che quello previsto dal Biglietto regale. Tale editto, pubblicato il 20 giugno 1730 48 , era destinato a reggere a lungo le sorti del valdismo.
Come chiave di interpretazione applicativa dello stesso, vennero spedite al Senato del Piemonte 35 delle vaste " Istruzioni," compilate a cura della Segreteria per l'Interno.


4.4 Il contenuto dell'editto puo' essere riassunto in 10 punti:

1. Si ampliava la portata limitativa dell'editto del 25 giugno 1620 il quale stabiliva il permesso di lavorare durante le feste della S.Chiesa; ora, su permesso del giudice, o del Castellano, o del Sindaco, si sarebbero potute svolgere anche altre attivita' pubbliche.

2. Si concedeva ai Valdesi di comprare, nei limiti territoriali stabiliti, beni mobili ed immobili, e, su concessione del Senato, di poterlo fare anche fuori dei detti limiti.

3. Si ripeteva il contenuto degli editti riguardanti il seguito ai funerali e alle sepolture. 4. Si faceva clemenza, del reato commesso, a tutti quelli che non avevano rispettato gli editti sulle conversioni, stabilendo che nel termine di sei mesi si riconvertissero alla religione cattolica o, altrimenti, abbandonassero i territori dello Stato. 5. Riprendendo il disposto dell'editto di ristabilimento del 23 maggio 1694, secondo cui non potevano abitare nelle valli i Valdesi e i rifugiati di origine francese, si disponeva che, entro sei mesi, gli interessati abbandonassero la Stato e vendessero i loro beni. In caso di inottemperanza a dette norme, i Francesi sarebbero stati fustigati nella pubblica piazza e, se recidivi, sarebbero stati condannati a cinque anni di galera.

6. Si stabiliva che i Valdesi per poter ottenere sussidi economici dalle potenze straniere, ne dessero specifica notizia al Prefetto della Provincia. 7. Si concedeva la libera circolazione dei testi sacri, ma solo tra Valdesi e nei territori delle valli; inoltre, a cio' era predisposto un unico funzionario valdese che era sottoposto al controllo del Gran Cancelliere.

8. Si ristabiliva il divieto di edificare nuovi templi e si concedeva condono per il tempio di S.Bartolomeo, nonostante fosse stato eretto nel 1692, mentre l'editto di ristabilimento prevedeva che dal 1686 non si potessero piu' erigere templi.

9. Si stabiliva che era possibile nominare insegnanti di religione valdese, ma questi non avrebbero potuto insegnare in scuole con bambini cattolici. 10. Si vietava inderogabilmente agli abitanti di Pragelato di entrare nelle valli valdesi, come erano soliti fare, per seguire il culto religioso, vietato nella loro valle.





Il contenuto dell' editto fu subito comunicato agli esponenti delle potenze interessate, le quali non tardarono a complimentarsi con il Duca per la clemenza con cui aveva trattato la questione valdese.
Infatti, oltre a riprendere il dettato dell'editto di ristabilimento, aveva anche eliminato alcune limitazioni imposte da editti precedenti, come quelle sulle scuole e sulla provenienza dei libri dall'estero.
Rimase il problema dei relapsi, per i quali l'editto del 1730 era molto piu' limitativo di quello del 1694.
Questo ultimo permetteva il ritorno al valdismo, senza limitazione di anni ,in cui fosse avvenuta l'abiura forzata.

L'editto del 1730, invece, la limitava agli anni 1686-94 e alla localita' delle valli.
La cosa venne fatta notare dal ministro inglese Edmund Allen al re Carlo Emanuele III, sostenendo che ciò era in violazione degli accordi del 1704 e del 1690.
La posizione inglese fu anche sostenuta dall'Olanda. Ma il re,Carlo Emanuele III, nella sua risposta, rimase fermo sulla sue posizioni. 48
Il che dimostra come la tesi del Viora non possa reggersi, se non in via teorica.


La Segreteria per l'Interno compilo' per il Senato del Piemonte una vasta "Istruzione per l'osservanza degli editti ed ordini concernenti i valdesi".
Essa non era un testo legislativo. Le sue disposizioni avevano efficacia, in quanto contenute in testi piu' antichi.

Tuttavia, con l'editto e con le Istruzioni del 1730 si addivenne alla formazione di un vasto corpo normativo, omogeneo nella forma e nel contenuto, che disciplino' in modo dettagliato la tolleranza concessa ai valdesi sabaudi e che rimase in vigore fino alla concessione della emancipazione del 1848.


5. Il regime giuridico dei Valdesi al termine del governo di Vittorio Amedeo II
Al termine dell'esame di tutti i provvedimenti normativi, emanati durante il regno di Vittorio Amedeo II, e' doveroso analizzare, in un quadro d'insieme e nello specifico, la situazione giuridica dei Valdesi cosi' come risultava dagli ultimi editti del 1694 e del 1730.

Ricordiamo, infatti, che in molti punti, i su citati editti non disciplinavano la materia direttamente, ma richiamavano normative contenute in editti emanati in epoche precedenti.

L'esercizio del culto era stato concesso non solo in forma di devozione domestica, ma ne era stato permesso anche l'esercizio pubblico in tutti i territori in cui era concesso ai Valdesi di abitare. 35 Cio' risultava dal richiamo implicito al trattato di Cavour del 5 giugno 1561, col quale Emanuele Filiberto aveva concesso ai Valdesi di esercitare il culto nei limiti territoriali delle valli natie.
Prediche ed esercizi di religione , fatti al di fuori dei limiti, erano puniti con la pena di morte e la confisca dei beni (Istr.c.5).

Il numero dei templi valdesi era stabilito tassativamente, desumendolo dall'interpretazione dell'editto del 1694 che aveva ristabilito i Valdesi nella stessa condizione di fatto esistente anteriormente al 1686; da cio' il divieto di costruirne altri o di ampliare i vecchi.
Nei templi ci si poteva riunire solo per ragioni di culto, avendo l'editto di Carlo Emanuele I, del 20 febbraio 1620, proibito in essi le riunioni che non avessero carattere strettamente religioso.
Nelle istruzioni, il re confermo' il divieto di riunirsi per il culto in case private. (Istr.c.6).


Anche l'ufficio di ministro di culto era regolato per linee di massima: 35
i pastori dovevano essere sudditi del Regno;
il loro numero era limitato ad uno per parrocchia;
i pastori non potevano, in veste ufficiale, recarsi al di fuori delle valli;
i ministri forestieri, non officianti, non potevano per alcuna ragione essere ammessi nelle valli se non in caso di pericolo di morte di un loro correligionario. Ma, in questo caso, la visita non doveva essere superiore ad un giorno.
Solo in caso di loro carenza, su permesso del sovrano, si poteva avere il servizio di persone forestiere. (Istr. c.8).


Tuttavia,l'esercizio del culto implica, una serie di comportamenti rilevanti e sul piano canonico e su quello giuridico:
liberta' del ministero dei pastori, battesimi, matrimoni, costruzioni e mantenimento di templi, sepolture, assemblee disciplinari, insegnamento della religione, organizzazione finanziaria e raccolta di contributi.

Non tutti questi aspetti erano disciplinati dagli editti, nè si puo' individuare una disciplina nel concetto di tolleranza.
Certamente, i Valdesi avrebbero preferito una dettagliata normativa che li garantisse maggiormente in futuro.
In realta', tale vuoto normativo serviva ai sovrani per limitare o modificare, successivamente, le concessioni fatte: una specie di via di scappatoia tra le maglie del diritto.

Anche lo stato civile dei Valdesi non aveva ricevuto una organica disciplina e presento', nella legislazione del 30, l'aspetto piu' lacunoso.
Agli atti di matrimonio, battesimo o di morte, contratti tra correligionari, l'interprete giuridico attribuiva rilevanza civile in virtu' della concessione di tolleranza.
Non esisteva però alcuna norma precisa che vi facesse riferimento.


La disciplina delle sepolture era, invece, dettata dall'art. 4 dell'editto del 2 luglio 1618 di Carlo Emanuele I.
I Valdesi, a cui era proibito seppellire , sotto pena di morte e di confisca dei beni, i propri defunti nei cimiteri dei cattolici, per tale funzione dovevano servirsi di cimiteri propri, costruiti in luoghi appartati, lontani dalle pubbliche strade, non cinti di mura ne' di fosso. 48 Lo stesso editto precisava anche, all'art. 5, che ai funerali non potevano partecipare piu' di sei persone, e, che, sotto pena di cento scudi d'oro, non potevano portare con se' armi difensive od offensive. 48 Dobbiamo ora esaminare la condizione giuridica dei Valdesi sotto il profilo del diritto pubblico e del diritto privato.
Nell'individuazione della capacita' giuridica delle persone, accanto ai noti status civitatis,libertatis, familiae, il Ruffini ha individuato lo status religionis, volendo cosi' mettere in risalto le discriminazioni cui possono essere sottoposti, da parte dello Stato, gli esercenti culti diversi, rispetto ai fedeli della Chiesa ufficiale di Stato.


La piena capacita' giuridica era riconosciuta a tutti i sudditi, purche' cattolici; i Valdesi dovevano quindi subire una notevole limitazione di tale capacita', in quasi tutti i campi del diritto.


Nel diritto pubblico alcune di queste limitazioni si ravvisavano nella impossibilita' di accesso a determinate cariche pubbliche, civili e militari che risultavano interdette ai Valdesi.
In proposito si devono richiamare gli editti del 25 febbraio 1602 e del 2 luglio 1618, entrambi di Carlo Emanuele I, che proibivano ai Valdesi di far carriera nella magistratura, nella diplomazia e nell'esercito.
Le cariche comunali di sindaco e di consigliere erano aperte ai Valdesi, ma solo nei comuni delle valli e in numero minore della meta' dei rappresentanti cattolici indipendentemente dalle presenze cattoliche nel paese.(Editto di Carlo Emanuele I del 25-6-1620).


In diversi editti avevamo affrontato la disciplina riservata ai notai. Per dovere di chiarezza, esponiamo qui come la stessa risultava dopo l'emanazione degli editti del 1694 e del 1730.
I Valdesi potevano ricoprire tale carica, considerata come quella di pubblico ufficiale, ma circondati di una serie di accortezze.
Nell'esercitare dovevano utilizzare un formulario identico a quello dei cattolici, che si apriva con una formula iniziale di invocazione per la Divinita' e le supreme istituzioni statali ed ecclesiastiche.

Non potevano ricevere testamenti dai cattolici e, nei testamenti dei valdesi, dovevano sempre dichiarare che li avevano invitati a elargire qualche lascito alle opere pie.

Relativamente al diritto delle persone i Valdesi subivano una limitazione durissima: non potevano dimorare se non nei limiti territoriali loro concessi. 35 Al di fuori dei suddetti limiti, i Valdesi potevano accedere solo in occasioni di fiere, per i loro commerci, per compiere lavori in qualita' di braccianti, o la vori stagionali di tipo agricolo, come la mietitura e l' aratura.


In tutti questi casi, oltre al principio della temporaneita', vigeva anche il divieto di " dogmatizzare, dare scandalo .... o rispondere in materia di religione ", anche se interrogati da altri. 35 Non potevano mai coabitare con il datore di lavoro cattolico e la loro prestazione d'opera verso di lui non doveva essere duratura.
Lo stesso vincolo vigeva fra padrone valdese e lavoratori cattolici.


Nel campo del diritto di famiglia rientravano le norme che vietavano il matrimonio tra Valdesi e cattolici e disciplinavano le conversioni tra coniugi e quelle dei figli.

Il divieto di matrimonio vigeva se il coniuge valdese non si convertisse al cattolicesimo prima della celebrazione.
Mancava totalmente una disciplina che prevedesse il matrimonio misto, caso per'altro rarissimo per quei tempi: non avrebbe potuto essere celebrato ne' col rito cattolico, ne' con rito valdese, ne' tantomeno con rito civile che fu introdotto solo nel 1865.

Sicuramente, meglio disciplinata, era la eventuale conversione operata da uno dei coniugi dopo il matrimonio.
Nel caso in cui uno dei coniugi avesse abbracciato la fede cattolica," i figli e le figlie si dovevano battezzare ed allevare nella religione cattolica ". 35 Era dubbio se dovessero cattolicizzarsi i figli nati successivamente alla conversione o anche i nati prima.


Se, a convertirsi al cattolicesimo, era invece un figlio di Valdesi, i genitori avrebbero dovuto consegnargli, ante mortem, la quota legittima o, nel caso di figlie femmine, la dote per il matrimonio o la monacazione. 35 Nei confronti di questi figli , i genitori perdevano ogni diritto di patria potesta'.

Il figlio naturale di una valdese, apparteneva alla religione di Stato ed andava cattolicizzato a forza in quanto il sovrano ne aveva la patria potestà per decisione dell'Avvocatura di Stato.
Da cio' le tante fughe di madri nelle zone piu' inaccessibili delle valli per sottrarre i neonati al sequestro da parte della polizia sabauda.
Tale istituzione verra' abolita solo nel 1894 dopo aver dato alimento ad infinite controversie giudiziarie per la restituzione dei bambini rapiti.


Anche nel diritto delle cose, i Valdesi dovevano subire una limitazione importante: non potevano possedere beni mobili o immobili al di fuori dei limiti territoriali loro assegnati. 35 Fuori dagli stessi limiti i Valdesi non potevano tenere in affitto da cattolici campi, prati o cascine. Con l'editto del 1730 era stato abolito il divieto per i Valdesi di comprare, nelle valli, beni di proprieta' dei cattolici.
Per temperare la portata della concessione, ma soprattutto per non perdere una sia pur limitata presenza cattolica nelle valli, Vittorio Amedeo II nella Istruzione al Senato di Piemonte suggeriva di impedire con ogni mezzo legale la possibile alienazione, a favore dei Valdesi, di beni appartenenti a cattolici.

Altre norme erano, invece, destinate ad impedire che il valdismo nelle valli potesse portare pregiudizio alla religione cattolica.


Ai Valdesi era vietato tenere qualsivoglia comportamento che costituisse un impedimento o un'offesa alle funzioni religiose cattoliche:

in occasione di processioni pubbliche erano tenuti a levarsi il cappello in segno di riverenza, oppure a ritirarsi lontano da essa; 22 dovevano osservare tutte le feste di precetto della Chiesa cattolica astenendosi dal lavoro. Potevavano pero' lavorare in casa proprio con le porte chiuse. 22 Nel campo del diritto tributario, poi, i Valdesi erano costretti a pagare i tributi in misura tripla rispetto ai cattolici, i quali, nelle valli godevano del cosidetto " terzigrazia " ; i Valdesi erano, inoltre, tenuti a pagare la decima destinata al culto cattolico. 35



6. Conclusioni finali

Al termine dell'esame analitico delle norme che regolavano il valdismo nello Stato sabaudo, cerchiamo di tracciare un sintetico giudizio finale sulla politica di Vittorio Amedeo II.

 
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