Tesi di Laurea - Capitolo 3 - Studio Legale Ranchetti

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CAPITOLO 3

TOLLERANZA RELIGIOSA E PENSIERO LIBERALE EUROPEO



Sommario: 1. Il settecento illuminista o l' eta' degli azzeccagarbugli nelle valli.2. L'eta' della rivoluzione e il giurisdizionalismo napoleonico. 3. La Restaurazione. L'emanci pazione albertina. 4. Lo Stato liberale italiano e la sua politica ecclesiastica fra culti "tollerati" e culti "ammessi".


1. Il settecento illuminista e l'eta' degli azzeccagarbugli nelle valli.
1.1 Dopo la pace di Utrecht del 1713, si apre per l'Europa un epoca in cui le guerre di religione non trovarono piu' posto.


Quella del 1689-1697 era stata l'ultima guerra in cui avevano preteso di confrontarsi in quanto tali i campioni di due forme di Cristianesimo: il cattolico Luigi XIV, re di Francia ed il riformato Guglielmo III d'Orange, re di Inghilterra.
Infatti la guerra successiva, quella che e' passata alla storia come guerra di successione spagnola ( 1700-1714 ), non ebbe fra le sue cause scatenanti, motivi di carattere religioso.
Ormai razionalismo da una parte ed empirismo dall'altra si avviavano a preparare l'eta' dei lumi, con le sue tendenze filantropiche e la sua benevola tolleranza religiosa, in nome di una razionalita', praticata per accumunare e non per dividere gli uomini.
Le campagne per il riconoscimento dei diritti dei sudditi e delle loro libertà civili costituirono l'argomento piu' interessante delle pubblicazioni, dei pamphets, degli articoli sulle gazzette del tempo.

La nuova temperie spirituale doveva farsi sentire anche in materia di religione.

Anche i monarchi, nella misura diversa in cui ciascuno di essi si avvicino' al movimento illumista, si prefissero lo scopo di liberarsi dall'impaccio dell'obbedienza alle leggi canoniche per rivendicare la loro indipendenza legislativa nei confronti della sede papale.
Preoccupati di avere dei cittadini economicamente attivi e ricchi di virtu' civili, i governi diventarono sempre meno fiscalisti nel sindacarne la posizione religiosa.
Anche se la traduzione giuridica del principio della liberta' religiosa fu una conquista posteriore, il primo passo che i governi maturarono verso di essa fu il rifiuto dell'Inquisizione papale.

Essi cioe' rifiutarono l'appoggio del braccio secolare per la ricerca, cattura e punizione degli eretici e resero nulle le conseguenze che le condanne papali, come l'interdetto, la scomunica, la qualifica di eretico, avevano avuto sulla posizione giuridica dei cittadini.



Purtroppo l'Italia, per la varieta' dei suoi governi non si presenta nel XVIII secolo come un territorio culturalmente e giuridicamente omogeneo: ad aree felici, quali la Toscana e la Lombardia, si contrapponevano aree ancora fortemente confessionali, come il Piemonte.

Abbiamo visto nel capitolo precedente, come la politica ecclesiastica di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III avesse riconfermato la piu' assoluta ghettizzazione dei sudditi valdesi, sottoposti ad un occhiuto controllo poliziesco, sollecitato nel corso del 1700 da una serie di Biglietti regi, acciocche' fosse mantenuta l'osservanza piu' scrupolosa degli editti limitativi delle liberta'.

La massa di questi editti, risalenti fino a tre secoli e mezzo prima, era tale da creare di per se' difficolta' nella loro applicazione.
Il fatto che risalissero ai sovrani piu' diversi, che la stessa materia fosse stata piu' volte trattata con varianti nel testo, creava difficolta' di univoca interpretazione.
Da cio' l'esistenza di un poderoso contenzioso, in cui fu impegnata la magistratura piemontese per tutto il periodo posteriore all'editto del 1730.
Era questo che aveva richiamato in vita tutta la precedente legislazione, senza preoccuparsi di unificarla in un testo organico.

Dallo studio comparativo appare che le numerose sentenze non erano prive di ombre interpretative, che denunciavano l'incertezza giurisprudenziale, nella quale si muoveva la giustizia piemontese del tempo, a riguardo dei valdesi.
Da cio' la radicata convinzione dei valdesi di subire torti ed angherie legali ed il cumulo dei processi, che fa veramente configurare questo periodo come l'eta' degli azzeccagarbugli.




Carlo Emanuele III ritenne di porre ordine in quella selva giuridica , procedendo alla compilazione di un "Compendio degli editti", riguardanti i valdesi, pubblicato il 29 luglio 1740 e di cui curo' la trasmissione all'autorita' giudiziaria.
Nell' intenzione del sovrano era da escludersi vi fosse alcuna benevolenza verso i valdesi, bensi', solamente, il desiderio di agevolare l'opera di controllo e le decisioni giurisprudenziali.
Il possesso di questo compendio, da parte della Magistratura, valse veramente a portare maggiore chiarezza nella legislazione, che per la sua complessita', si era prestata a tanti torti, voluti e non voluti.

Purtroppo pero', il testo del Compendio del 1740, non venne pubblicato e quindi non fu a diretta conoscenza dei valdesi.
Rimase un sommario di rapida e facile consultazione, che migliorava nei magistrati la certezza del diritto; nulla pero' poteva aggiungere alla certezza del diritto della parte in causa, i valdesi, i quali continuarono le loro battaglie giudiziarie, sul filo degli editti,per avere giustizia di torti veri o presunti tali.

Eppure, anche per lo Stato piemontese, a prescindere dal bigottismo dei sovrani, esisteva la necessita' di commerciare con gli Stati protestanti, come l'Inghilterra, l'Olanda, la Svizzera; di accogliere mercanti, finanzieri, agenti diplomatici di queste nazioni sul proprio territorio, di collegarsi alla politica europea in modo piu' ampio che con i sovrani precedenti.


Cio' indusse i sovrani ad accettare la presenza di stranieri nei confini dello Stato in misura di gran lunga maggiore e per periodi molto piu' lunghi che per il passato e a dovere fare loro delle concessioni per le loro necessita' religiose.
Prussia, Svizzera, Svezia, ma soprattutto Olanda ed Inghilterra furono le nazioni con le quali il Piemonte intesseva rapporti diplomatici e commerciali preferenziali.
Cio' consigliava di non aggravare troppo il carico sulle spalle dei sudditi valdesi, per non destare le rimostranze di questi governi protestanti ed impacciare il regolare svolgimento dei lucrosi traffici e commerci.
L'apertura delle cappelle protestanti presso le sedi delle ambasciate e dei consolati, costitui'un importante punto di riferimento ed un importante punto di appoggio per i protestanti piemontesi.
Olanda ed Inghilterra furono le principali sostenitrici delle chiese delle valli ed i loro rappresentanti diplomatici intervennero costantemente a difesa dei diritti minacciati dei valdesi.


1.2 A ben ragione, quindi, si dice che le valli alpine valdesi vissero il loro Settecento, sotto una forma di padrinato anglo-olandese. 35 Nel grigiore di una vita asfittica,solamente con le Patenti del 14 febbraio 1746, si offriva un piccolo miglioramento alla condizione di notaio valdese.
Questi, che fino ad allora poteva esercitare solo se ereditava o comprava la piazza di notaio, ora, poteva esercitare nell'ambito dei sei posti, riconosciuti alle valli, come notaio regio, ma purche' esercitasse solo nei confronti dei propri correligionari.
Nulla di nuovo per chi militasse nell'esercito sabaudo.
La tanto attesa disposizione di aprire i gradi di ufficiale ai sudditi valdesi, non venne promulgata. Il sovrano apprezzava la loro tendenza militarista e se ne serviva ampiamente; ma non si andava oltre al grado di tamburini e furieri, perche' lo vietavano gli editti.
Infine, per chiudere ancora piu' strettamente il cerchio intorno ai valdesi, il sovrano adotto' una serie di misure atte ad incrementare la presenza cattolica nelle valli.
Onde mettere i cattolici in condizione di poter acquistare le terre dei Valdesi, venne istituita, in Pinerolo, una Regia Opera dei Prestiti, con un patrimonio di lire 50.000 e, sempre in Pinerolo, venne istituito un convitto per i desiderosi di convertirsi alla religione cattolica.
La' si accoglieva gente di ogni eta' per fortificarli nella nuova fede cattolica e per insegnare loro gratuitamente un mestiere.
Li' erano rinchiusi, per essere educati, i fanciulli che venivano sottratti alle famiglie col raggiro e l'inganno. 35 Tale istituzione verra' abolita solo nel 1894, dopo aver dato alimento ad infinite controversie giudiziarie per la restituzione dei bambini rapiti.


La situazione giuridica dei valdesi non miglioro' nenache nel 1779, allorche' si procedette alla revisione delle Costituzioni del 1729.



1.3 A tanta e vigile politica di immobilismo, praticata dal sovrano, si contrapponeva l'atteggiamen to evoluto che fu proprio della popolazione valdese di questo periodo. Particolarmente favoriti dall'avere rapporti diretti e continui con il pensiero d'Oltralpe, visitati molto spesso da pastori, intellettuali, membri del corpo diplomatico straniero, i Valdesi costituivano una particolare " enclave " culturale nel territorio dell'arretrato Piemonte.
I Pastori ed i liberi professionisti a cui le leggi restrittive del Piemonte impedivano di frequentare quelle Universita', andavano ad iscriversi alle universita' straniere, soprattutto a Ginevra.
Il soggiorno all'estero, che durava in media otto, dieci anni, influenzava in modo definitivo i giovani studenti, che, una volta tornati in Patria, ne avrebbero costituito la classe dirigente.
L'internazionalismo valdese non fu, quindi, solo un fatto religioso, ma anche culturale, nel senso piu' ampio del termine.

Anche i giovani di condizioni piu' modeste, piuttosto che lavorare nella pianura cattolica, preferivano emigrare stagionalmente nelle colonie valdesi tedesche, o si arruolavano permanentemente nelle guarnigioni svizzere od olandesi.


Percio' il montanaro valdese era alquanto diverso dai suoi colleghi contemporanei.
Innanzitutto e' un alfabeta, perche' il primo dovere della comunita' valdese e' quello di educare i giovani alla lettura della Bibbia;conosce due lingue, italiano e francese; soggiorna e viaggia spesso nel centro Europa.


Dietro le valli c'e' il sostegno finanziario di Londra, di Ginevra, di Amsterdam; i libri munificamente elargiti, le borse di studio, i piani di scolariz zazione per le valli,( a livello elementare, ben 68 scuole); l'istruzione media e mediosuperiore, finanziate dai governi stranieri.
Molto spesso i pastori sposano donne straniere, piu' evolute e piu' colte di quelle valdesi e quindi piu' atte a coadiuvarli nella conduzione della comunita'. Queste a sua volta trasmettono usi e costumi delle loro terre, alle donne delle valli.
Ma non sono solo i pastori a fare questo; la comunanza di lingua con al Francia e con la Svizzera, favorisce i matrimoni anche fra i giovani.
D'altra parte, la legislazione piemontese proibisce i matrimoni di mista religione.

Cosi', ghettizzato ai confini delle Alpi, il mondo valdese gioca la carta della sua sopravvivenza a livello di una migliore cultura.
Si deve quindi dire che lo spirito dell'Illuminismo circolava gia' nelle Alpi, quando vi pervenne l'ideologia rivoluzionaria francese, portata dalle armate della Convenzione repubblicana ( 1792 ).


2. L'eta' della Rivoluzione ed il giurisdizionalismo napoleonico.

2.1 L'occupazione francese dello Stato sabaudo ad opera delle armate francesi della Rivoluzione, inizio' nel 1792 per la Savoia e nel 1794 per il Piemonte ed in questo caso, proprio dalla parte dell'alta Val Pellice. Era allora sovrano Vittorio Amedeo III.
Le armate rivoluzionarie piantarono alberi della liberta' nei paesi conquistati ed arruolarono volontari nella Guardia Nazionale.
I Valdesi, trasformati da sudditi in "citoyens", videro la fine della loro segregazione politica e civile.
La Rivoluzione prometteva " Liberte', egalite', fraternite' ", a tutti coloro che avevano sofferto ogni forma di soprusi e di discriminazioni.Non occorre, quindi, stupirsi se i Valdesi accolsero con gioia il programma rivoluzionario e si proclamarono giacobini.
Moderati, pero', a differenza di tanti altri piemontesi radicali: moderati, ma sempre giacobini. Non si tratto' di una scelta politica limitata a pochi gruppi di borghesi intellettuali, come accadeva nel resto dell'Italia ( si pensi a Napoli ), ma di una scelta che comprese compatta tutta la popolazione valdese delle valli, professionisti, mercanti, contadini, montanari, tutti accumunati da un unico anelito alla liberta' innanzitutto religiosa, poi politica e civile.



Il sovrano Vittorio Amedeo III, quasi presagendo che il messaggio di liberta' sbandierato dalle armate francesi, non poteva lasciare insensibili quei sudditi valdesi, tanto vessati nel passato, si apri' a qualche modesta concessione.

Sapendo quanto questo problema fosse a cuore ai valdesi, il re,con un Regio biglietto, del 24 maggio 1794, si impegno' a vietare il ratto dei fanciulli valdesi, di eta' inferiore ai 12 e 10 anni, eta' ritenuta legale per la scelta religiosa da parte dei medesimi.
Le violazioni a questa norma erano state nel passato numerose e patente era stata la tendenza della magistratura ad ignorare i fatti o ad adottare la scelta di decisioni protratte nel tempo.
Il rinvio consentiva a fanciulli rapiti a quattro, cinque anni, di raggiungere nel frattempo la cosidetta eta' legale.
Quando gia' avevano ricevuto in rifugi clandestini sei o sette anni di indottrinamento cattolico, non riservavano sorprese al momento in cui venissero sottoposti alla " libera " scelta.
Accettato il cattolicesimo, essi erano perduti per la famiglia di origine.
Il fatto e' che si era scoperto che fanciulli rapiti a dieci, dodici anni, erano gia' troppo grandi per essere facilmente cattolicizzati e che, anche se lo accettavano, conservavano in se' molte vestigia della precedente educazione religiosa.
Piu' proficuo era quindi il rapirli alle famiglie in tenerissima eta', contando poi sulle lungaggini delle istruttorie e sulle tante compiacenze occulte.


Vittorio Amedeo III, sapendo bene come il problema dei bambini rapiti fosse una delle maggiori cause del risentimento dei suoi sudditi, con questo Regio biglietto, riconosceva l' esistenza del sopruso che si commetteva ai danni delle famiglie valdesi e prometteva una maggiore e migliore protezione da parte del governo.
Infine, con lo stesso biglietto, il sovrano concedeva ai medici valdesi l' esercizio della professione, sia pure limitata ai correligionari.
Onde non lasciare alcun dubbio sulla sua benevola disposizione nei confronti di quelle famiglie valligiane, dalle quali si aspettava che facessero baluardo contro gli eserciti francesi, il sovrano prometteva di: " far seguire alla fine della guerra, segni piu' speciali della sua protezione ".

Ai Valdesi parve troppo poco, ne' c' era molto da fidarsi delle parole di Vittorio Amedeo.
Cosi' i giacobini valdesi non cessarono di porre le loro speranze piu' nelle armate francesi che nel loro re ed a cercare piuttosto di fare causa comune con i cattolici giacobini, dei quali condividevano la politica antifeudale ed antisignorile.
Furono anni quelli in cui le divisioni religiose furono messe da parte nell' intento di raggiungere nelle valli un obiettivo sociopolitico comune. Le nuove idee aprivano nuovi orizzonti e facevano crollare paratie erette da secoli per separare cittadini dello stesso Stato.



Il nuovo sovrano Carlo Emanuele IV, re piu' di nome che di fatto, perche' vacillante su di un trono incerto, con un Regio biglietto del 25 agosto 1797, concesse ai Valdesi, in deroga agli editti, l'esenzio ne dalle spese del culto cattolico e la possibilita' di riparare o riedificare i templi andati in rovina o distrutti dagli eventi militari.
Pochi mesi dopo, pero', nel dicembre 1797, il sovrano fu costretto ad abdicare e fu proclamata la Repubblica giacobina, del cui governo fece parte il Moderatore Pietro Geymet, divenuto poi viceprefetto di Torino.


2.2 L' indipendenza della repubblica giacobina fu di breve durata.

Nell' aprile del 1801, Napoleone annetteva il Piemonte al territorio metropolitano della Francia, di cui esso costitui' la ventisettesima divisione militare.
Ma gia' precedentemente, nella sua qualita' di Primo Console, egli aveva riconfermato ai valdesi quei diritti di liberta' e di uguaglianza dei quali godevano gia' dal 1797.
I Valdesi potevano acquistare beni, commerciare liberamente, erigere ovunque i loro luoghi di culto, fare carriera militare, contrarre matrimoni misti, godere della patria potesta' sui propri figli, iscriversi alle Universita' di Stato.
Le chiese valdesi furono raccolte in tre circoscrizioni: Torre Pellice, Pra' Rostino e Villasecca, le cosidette " Concistoriali valdesi ".
I beni di 15 parrocchie cattoliche delle Valli (su 28 in tutto), che erano prive di fedeli, furono devolute alle chiese valdesi ed i pastori, come i preti, divennero regolari funzionari dello Stato, da questo finanziati.Anche la pubblica istruzione fu assunta a carico dello stato. 35

Ma a queste conquiste di liberta' universalmente celebrate e rispondenti ai principi generali del Codice Civile napoleonico, fa da contrappeso, ben presto, una legislazione ecclesiastica napoleonica, piu' organica, che, nel suo totalitarismo accentratore, finiva col calpestare tante altre forme di liberta', magari meno note, perche' meno conosciute, ma non meno care alla Chiesa valdese, che su di esse aveva fondato l' esercizio della religione riformata.Si tratta dell' ordinamento collegiale ed elettivo degli organi di governo della chiesa valdese ( Sinodo, Tavola e Moderatore ).
Sinodo e Tavola avevano rappresentato rispettivamente il Parlamento e l' esecutivo di una piccola democrazia di capifamiglia che aveva gestito chiese, scuole, borse dei poveri, stato civile, matrimoni e divorzi in una forma di autogoverno che la politica giurisdizionalista del sovrano francese non poteva accettare.
Infatti, nel 1805, Napoleone, dopo un incontro avvenuto a Torino con la Tavola mentre era diretto a Milano a cingere la corona di re d' Italia, disciplino' in modo organico il nuovo ordinamento della Chiesa valdese
Sic et simpliciter vennero aboliti Moderatore e Tavola valdese, le due strutture ecclesiastiche elettive create e mantenute dai Valdesi attraverso i secoli a costo di enormi sacrifici.
Napoleone svuoto' di sugnificato anche il Sinodo, quel piccolo Parlamento repubblicano, misto di laici ed ecclesiastici, che con le sue decisioni rigorosamente maggioritarie, si vantava di rinnovare la Roma repubblicana.
L' Imperatore annullo' anche gli Ordinamenti e le raccolte di Discipline ecclesiastiche da quello promulgate, ed applico' ai Valdesi gli " Articoli Organici " che regolavano, in Francia, le altre chiese riformate.
Fu permessa la riunione dei pastori una volta l' anno, ma non si trattava di un Sinodo, perche' le decisioni potevano essere solo amministrative.
D'altra parte ai pastori era stato sottratto lo stato civile, per cui il rito matrimoniale in chiesa aveva ormai solo valore religioso e cosi' anche il battesimo.


Un attimo di ripensamento fu rappresentato dal Decreto del 23 marzo del 1805, nel quale vennero sottratte ai Valdesi le rendite delle parrocchie cattoliche e lo stipendio pastorale, gia' concesse nel Decreto di brumaio.
Ma con due successivi Decreti, Napoleone torno' sui propri passi.

Il Decreto del 25 luglio 1805, reintrodusse lo stipendio per i pastori ( lire 1000 l' anno ), previo, pero', giuramento di fedelta' al Governo.

Il successivo Decreto imperiale del 13 agosto 1805 miglioro' la condizione economica delle chiese valdesi, duramente provate dal taglio di ogni forma di sussidio da parte dell' Inghilterra e della Germania, avversarie di Napoleone.
L'imperatore si vide costretto a ripristinare a loro beneficio, la rendita delle parrocchie cattoliche ( i cosiddetti " beni nazionali " ), prive di fedeli.



La legislazione ecclesiastica napoleonica nei confronti dei Valdesi, si gioca tutta nell'ambito di questi quattro Decreti e si perfeziona con l'ultimo, quello dell'agosto 1805.


Fino alla caduta del regime napoleonico, nel 1814, non ci furono modifiche a quanto stabilito, neppure in seguito al Concordato stipulato nel 1806 tra Napoleone e la Chiesa cattolica.

I Valdesi seppero sfruttare le liberta' concesse e si adattarono alle restrizioni richieste, consapevoli che la larghezza di liberta' di culto in pubblico ed in privato era un bene troppo alto, tale da mettere in secondo piano, almeno per il momento, la perdita dell'elettorato attivo e passivo, dell'autonomia amnistrativa, della capacita' rappresentativa riguardo allo Stato dei suoi organi ecclesiastici 35 . Ai loro occhi la liberta' di predicazione di insediamento, di apertura di templi in tutta Italia, e la piena parificazione dei diritti civili, valevano bene qualche sacrificio sul piano dell'autonomia interna delle chiese.


3.La Restaurazione. l'emancipazione albertina


3.1 La Restaurazione significo', per i Valdesi, il ritorno alle costituzioni del 1779. Venne cancellata la struttura concistoriale e tutta la legislazione napoleonica della Chiesa Valdese.
Lo stato civile torno' ad essere curato dalle parrocchie; i pastori persero gli stipendi di stato e le rendite dei cosidetti beni nazionali.
Con grande gioia valdese, vennero, pero', ripristinati Sinodo, Tavola, Moderatore, gli organi collegiali di gestione delle chiese.



Il richiamo all' antica legislazione ante rivoluzione, avvenne attraverso due atti formali:
L' Editto reale di Vittorio Emanuele I, ( 21 maggio 1814), proclamava il ritorno sic et simpliciter di ogni legge e di ogni istituto dello stato alla situazione del 1798;
il Manifesto del Regio Governo della Provincia di Pinerolo ( 4 gennaio 1815 ), riguardava specificatamente i Valdesi e richiamava in vigore, nei loro confronti, le Costituzioni del 1779.


Si tornava alla ghettizzazione, alla censura sui libri, a tutto il triste corteo di misure restrittive. Poiche' di libri ne erano entrati tanti, durante l' epoca napoleonica, la caccia alla carta stampata si concluse in roghi sulle pubbliche piazze, per dare esempio e togliere armi all' eresia.


L'ultimo rogo di Bibbie, importate dall' Olanda e tradotte in italiano ed in francese, ebbe luogo a Pragelato nel 1838.
Ma fu veramente l' ultimo.



La politica grettamente oscurantista del Principe Solaro della Margarita, primo ministro del Governo sabaudo, avrebbe voluto riportare indietro le lancette dell' orologio, all' eta' della Controriforma; ma l' eta' della rivoluzione francese e di Napoleone aveva lasciato in molti esponenti del ceto aristocratico e borghese piemontese una eredita' tale da renderli sordi a questi richiami.

Questa nuova cultura piemontese, vivace, aperta alle suggestioni di oltralpe, che covava sogni ambiziosi di espansionismo risorgimentale, guardava al mondo liberale europeo, sia cattolico ( la Francia di Luigi Filippo e del Lamnais), sia protestante,(inglese,prussiano,svizzero).

Fu alla cultura ginevrina del Vinet 35 , con la sua impostazione laica dei rapporti tra Stato e Chiesa, e al separatismo del Quinet 35 , che si ispirarono i liberali piemontesi, il Cavour, Roberto e Massimo d' Azeglio, Brofferio.
Nello stesso Consiglio della Corona non ci fu piu' compattezza per una politica reazionaria contro i Valdesi.

Ne e' prova l' uscita delle Regie Patenti del 27 febbraio 1816, con le quali il sovrano Vittorio Emanuele I, proclamo' la sanatoria generale per tutti quei beni che fossero stati acquistati ,al di fuori degli antichi limiti ,durante il periodo francese e concesse ai Valdesi, l' esercizio di ulteriori attivita' liberali in proprio, come quelle di architetto, speziale, geometra.


Anche il sovrano successivo, Carlo Felice, mostro', attraverso le Patenti del 1828, di volere offrire un suo piccolo obolo ai valdesi , risolvendo l' annosa questione del mantenimento pastorale.
Venuto meno, con la caduta di Napoleone, lo stipendio di Stato, il mantenimento pastorale era quasi tutto a carico di un Sussidio Nazionale Inglese.
Ma si trattava complessivamente di ben poco e la vita dei pastori era estremamente misera.
Ne' l' economia montana delle Valli, ne' la pesantezza del fisco, permettevano ai fedeli di sostenere adeguatamente il proprio clero.
Nelle Patenti del 1828, il Governo era autorizzato a prelevare una certa somma dai cosidetti "centesimi addizionali", che lo Stato percepiva sui beni valdesi ed ad utilizzarla come assegno di mantenimento dei pastori.
Per volonta' del sovrano, tal disposizione avrebbe avuto valore retroattivo, a partire dal secondo semestre del 1815.
E' bene ricordare che attraverso calcolate rivalutazioni, questo finanziamento e' stato regolarmente effettuato, fino al 1947. 35 Da una parte, quindi, i due sovrani sabaudi della Restaurazione, Vittorio Emanuele I e Carlo Felice, lasciarono ufficialmente in vigore il compendio degli editti del 1740 ; dall' altra, pero' era evidente che l' atteggiamento regale nei confronti dei ventimila sudditi valdesi, presentava degli aspetti di remissione , quali quelli concretizzati negli atti legislativi sopracitati.



Abbiamo anche detto come alla coscienza liberale della borghesia piemontese, che si apprestava a divenire la nuova classe dirigente, ripugnasse qualsiasi forma di persecuzione religiosa, ritenuta, e non a torto, una delle tante forme di repressione della liberta' di pensiero.
3.2 Per questo, nonostante l' esplicito richiamo al compendio del 1730 e alle Costituzioni del 1779, la situazione dei Valdesi, nell' eta' della Restaurazione, fu meno tesa ed esasperata di quella dei loro padri, e non priva di qualche favorevole speranza nel futuro volgere degli eventi.
La Chiesa cattolica fu subito ben consapevole della mutata temperie spirituale e dell' indebolirsi del livello di guardia dei sovrani.
Pertanto aumento' gli appelli alla sorveglianza, moltiplico' le denunce, si espresse attraverso la parola eloquente del Vescovo di Pinerolo, Monsignor Andrea Charvaz, cattolico reazionario e profondo conoscitore del Diritto ecclesiastico piemontese. Ma i fulmini spirituali e gli appelli pressanti al rispetto ossessivo di questa o quella norma degli editti comitali, ducali o reali sabaudi,da lui continuamente rinverditi con notevole perizia, non trovava no in riscontro nei funzionari statali, quello zelo sollecito che la Chiesa avrebbe desiderato.
Gli stessi funzionari che avrebbero dovuto applicarle, o apparivano poco informati sulle norme, o scarsamente convinti della bonta' delle stesse.



Da cio' continui rinvii, lungaggini burocratiche e continue giustificazioni sui ritardi, dovuti, ufficialmente alle complessita' della materia da trattare. Pertanto le tante battaglie dichiarate dalla Chiesa cattolica per il rispetto degli editti, furono per lo piu' destinate ad esaurirsi per consunzione, senza essere state mai veramente ingaggiate.


Cio' avveniva in quasi tutti i casi, tranne in uno, che vale la pena di ben evidenziare: la questione dei matrimoni di mixta religio.
Erano stati vietati dai piu' antichi editti e la proibizione era stata sempre ripetuta.
Chi li contraeva incorreva nell' accusa di concubinato, con le sanzioni civili e penali relative. La morale pubblica, anche quella borghese dei ceti liberali, condannava apertamente il concubinato, come residuo di tendenze libertine settecentesche, ormai in contrasto con i valori ideali del Romanticismo, che esaltava l' istituto familiare, sancito nelle forme legali del tempo.


Pertanto il matrimonio misto fra un giovane cattolico alsaziano, tale Muller, e la valdese Brezzi, dovette celebrarsi ben tre volte in chiesa, prima che l' opinione pubblica e soprattutto il vescovo Charvaz di Pinerolo, fossero soddisfatti.
La prima volta i due giovani si sposarono con rito protestante nalla cappella della ambasciata prussiana a Torino.
Perseguiti da una denuncia per concubinato, scelsero di sposarsi con rito cattolico in Alsazia. La Santa Inquisizione, sollecitata dal Vescovo Charvaz, stabili' la nullita' di questo secondo matrimonio.
I due, allietati gia' dalla nascita di piu' figli, furono obbligati, per poterli legittimare e per continuare a lavorare ed a vivere nello Stato sabaudo, a piegarsi al matrimonio cattolico in una parrocchia delle Valli!



Ma su altre materie di religione, l' opinione pubblica non era cosi' ortodossa.
Quasi tutte le misure restrittive di quegli editti antivaldesi, erano considerate oramai un anacronistico retaggio del Medioevo, una forma di illibe ralita' che occorreva bandire, per mettere il Piemonte al passo coi tempi, prepararlo alle nuove grandezze militari e politiche che lo attendevano ed al ruolo di leader dell' Italia risorgimentale.


Alla fine del 1847, Roberto d' Azeglio presento' al sovrano una petizione, firmata da seicento torinesi, fra i piu' insigni e notabili della citta'.
La lista delle firme, tra cui quella di molti ecclesiastici, era aperta dalle firme di Cavour e di Cesare Balbo.
La petizione chiedeva al sovrano l' emancipazione per i sudditi israeliti e protestanti, sostenendo che tale improrogabile concessione era non solo un dovere civico, ma anche come un dovere cristiano. 35 Gia' precedentememte, nonostante le proteste del clero cattolico, Carlo Alberto aveva concesso nel 1841, una nuova sanatoria, che, ricollegandosi alla precedente , le Regie Patenti del 27 febbraio 1816, legalizzava l' acquisto dei beni fuori dai limiti, per il periodo 1815-1831.
Per il decennio 1831-1841, la sanatoria albertina concedeva quattro anni di tempo per le vendite.
Ma il sovrano si riservo' il potere di decidere per eventuali dispense a tali vendite, dispense da concedere "graziosamente" caso per caso, per il decennio in questione ed anche per il futuro!


Consapevole che una tale riserva, cosi' discrezionalmente permissiva, intaccava profondamente la sostanza delle limitazioni ai Valdesi, il Sovrano scriveva al Prefetto di Pinerolo, invitandolo:
" ad adoperarsi in modo che l' autorita' ecclesiastica non si accorga di questa sospensione o revoca di provvedimenti [...] e di usare la massima segretezza o diligenza in questo affare, al di lei zelo affidato, onde non nascano poi nuovi richiami da parte dell' autorita' ecclesiastica ". 35


Il re Carlo Alberto portava il cilicio ed era sinceramente cattolico ed ossequioso ai dettami della Chiesa.
Ma era anche ambizioso e sognava la corona di re d' Italia.
Per diventarlo, occorreva conquistare i favori dei ceti liberali e concedere ai sudditi, con lo Statuto, quei diritti di liberta' civile, politica,economica,tanto insistemente richiesti.
In questo nuovo quadro d' insieme, era inconcepibile la permanenza di un gruppo di sudditi, quali i Valdesi, soggetti a misure restrittive proprio in merito a quei diritti di liberta' che ci si apprestava a concedere al resto della popolazione.


3.3 Il 17 febbraio 1848, facendo seguito alla petizione ricevuta dai maggiori esponenti del governo e dei ceti patrizio e borghese,le Lettere Patenti del re Carlo Alberto, concedono ai Valdesi la sospirata emancipazione.

L' atto regale da parte del sovrano non fu certo il frutto di un maggiore spirito di carita' e di amore, ispirato a criteri di apertura religiosa o di filantropica tolleranza.
Il sovrano dovette cedere alla Ragione di Stato. Una politica di respiro europeo, quale il Regno di Sardegna, intendeva perseguire, richiedeva al re questo sacrificio delle sue personali convinzioni. Lo richiedeva l' avanzata del movimento liberale europeo 35 , sempre piu' vincente nei confronti della Santa Alleanza; insistevano in tal senso i governi degli stati evangelici, in particolare la Prussia, che si apprestava a svolgere, per la Germania, lo stesso ruolo di unificazione che Carlo Alberto si riprometteva per l' Italia; premevano in tal senso i ministri piu' fidati.


Le lettere Patenti riconobbero ai Valdesi le liberta' civili e politiche di cui godevano gli altri sudditi sardi.
Ma esse precisavano inequivocabilmente che nulla era innovato quanto all' esercizio del culto e delle scuole da essi dirette.
Era una parificazione alla quale mancava il riconoscimento pieno della liberta' religiosa.


Tuttavia, anche con questo limite, l' Editto di emancipazione pose fine al ghetto alpino.
Il rappresentante del Re, presente per l' ultima volta nel Sinodo del 1848, porto' ai Valdesi il saluto del sovrano e si compiacque con loro per essere entrati finalmente a far parte della " grande famiglia italiana ".

La data di pubblicazione delle Lettere Patenti, si colloca fra il 18 febbraio 1848, data in cui fu annunciata la imminente promulgazione dello Statuto, ed il 4 marzo 1848, giorno della sua promulgazione.
Era evidente che il sovrano riteneva opportuno che alla data del 4 marzo non ci fosse piu' discriminazione confessionale fra i cittadini sardi.



L' articolo 1 dello Statuto albertino, promulgato il 4 marzo successivo, ribadi' che la religione cattolica era la sola religione di Stato e che gli altri culti vi erano " tollerati " secondo la legge. 35 . Al posto del termine "tollerati", gli spiriti piu' liberali avrebbero desiderato che fosse usato il termine "permessi", come era previsto per lo Statuto toscano.
Carlo Alberto preferi' il termine piu' restrittivo.
La confessionalita' dello Stato veniva ora sancita per volere del sovrano nella Carta fondamentale del Regno d'Italia. 35 Il primo articolo dello Statuto faceva esplicito riferimento ai primi tre articoli del Codice albertino del 1837.

Il primo articolo di quel codice ricordava che :
"La religione cattolica apostolica romana e' la sola religione di Stato".

Il secondo assegnava al sovrano "la gloria di essere protettore della Chiesa":

Il terzo recitava:
"Gli altri culti, attualmente esistenti nello Stato,sono semplicementi tollerati, secondo gli usi e i regolamenti speciali che li riguardano".


Non e' chi non veda quale sia la differenza fra il dettato dell'articolo 3 del Codice del 1837 e il secondo comma dell'articolo I dello Statuto, nel quale ultimo, gli altri culti sono tollerati, senza che vi sia premesso l'avverbio "semplicemente", che da' un valore limitativo alla tolleranza concessa.

Inoltre la tolleranza dello Statuto ha il suo ambito nella legge, mentre quella del Codice si poteva prestare a interpretazioni piu' o meno elastiche, a seconda che si calcasse la mano "sugli usi" o i "regolamenti speciali", che concernevano i valdesi.
L'articolo I , invece, rimase del tutto immutato, a garanzia della confessionalita' cattolica dello Stato sabaudo.
Pochi giorni dopo la pubblicazione dello Statuto, con un Editto I7 marzo 1848, si concedeva a tutti i cittadini, indipendentemente dal culto professato "il diritto di elettorato politico".
Con la legge 19 giugno 1848 n.735 si diceva che:
".. per togliere ogni dubbio sulla capacita' civile e politica dei cittadini che non professano la religione cattolica... la differenza di culto non forma eccezione al godimento dei dei diritti civili e politici o alla ammessibilita' alle cariche civili e militari".
Tale irrilevanza fu gradualmente ribadita con un duplice ordine di provvedimenti:
disposizion indirette, miranti ad attenuare il carattere confessionale di tante istituzioni statali;
dusposizioni dirette o atti legislativi, volti direttamente a tale fine.

Per citare la piu' importante di queste, ricordiamo l'istituzione nel 1865 del matrimonio civile, quale unica forma di matrimonio riconosciuta dallo Stato e le disposizioni del codice penale dell'anno 1889, (art.140-143), che punivano im egual misura le offese dirette, contro qualsiasi confessione religiosa e solo su querela di parte.








4. Lo Stato liberale italiano e la sua politica ecclesiastica fra culti " tollerati " e culti " ammessi ".

4.1 L' inarrestabile marcia dello spirito liberale, porto', a poco a poco, nella seconda meta' dell'ottocento , a cedimenti ed a concessioni, anche in quella disciplina ecclesiastica che le Lettere Patenti avevano dichiarato sarebbe rimasta inalterata.

L'unificazione d' Italia fu accompagnata da un' analoga espansione del movimento protestante in tutte le regioni italiane , dall' apertura di tanti nuovi luoghi di culto, dalla stampa di numerosi giornali e dalla realizzazione di quanto, nei limiti delle proprie risorse finanziarie era necessario ai valdesi per l'attivita' religiosa ed evangelica.




Poiche' nulla era innovato , con le Patenti del 18 febbraio 1848, " quanto all'esercizio del culto ed alle scuole", sotto questo aspetto, non stupisce che in una protesta vescovile presentata al Sovrano Vitto rio Emanuele II, il 6 agosto 1851, pubblicata su " La Buona Novella " del 28 novembre 1851, anno I numero 2, si legga:
" I diritti civili, teste' accordati ai Protestanti, non riguardano l' esercizio della religione, ma si' solo quei diritti che si riferiscono alle civili societa' [...] La tolleranza religiosa deve essere conforme alle leggi; le quali leggi, anteriori allo Statuto, non abrogate per esso, seguitano in tutto il loro vigore.

Queste leggi sono affatto restrittive di tempo e di luogo, ne' mai dal Governo si permise che si allargassero [...] Tale concessione quindi del Governo di S.M. non altrimenti fatta per legge dei tre poteri dello Stato, sarebbe affatto illegale e contraria allo Statuto ed al Codice civile, ed agli articoli 483 e 484 del Codice penale [...] ". 35 La protesta era stata occasionata dalla concessione alla edificazione ed apertura del Tempio valdese di Torino, che era, se si riguardavano le Costituzioni del 1779, chiaramente extra limites.
Ma la protesta non sorti' esito alcuno. Negli anni a venire e fino al Fascismo, l' ampiezza maggiore o minore da darsi al concetto di tolleranza, proclamato dallo Statuto, costitui' la questio fondamentale fra clericali e liberali.
4.2 L' interpretazione progressivamente liberale ebbe a suo massimo esponente il Cavour, e fu espressa

nella formula: Libera Chiesa in libero Stato.
Alla formula cavouriana , segui' quella di Luigi Luttazzi, ancora piu' liberale : Libere Chiese in libero Stato.
Il liberalismo religioso fu ripreso poi nella politica di Giovanni Giolitti, che ideo' le immagini di due parallele per figurare i due massimi poteri. La tolleranza fu vincente fino a tutta l' epoca giolittiana.

E' per queste influenze che la Legge delle Guarentigie del maggio 1871 ed il Codice penale Zanar delli del 1889 (art. 140-141-142), definiscono i culti acattolici " come culti ammessi ", quasi a dare una dizione che nella sua novita' rispecchiasse la maggiore ampiezza ideologica, che si intendeva rispettare. 35 Gia' la sopracitata Legge delle Guarentigie del 1871, aveva affermato nell'articolo 2 che:
" La discussione sulle materie religiose e' pienamente libera ", ed aveva cosi' legittimato la piena liberta' di culto e di propaganda religiosa per i culti tollerati.

Inoltre le leggi militari e fiscali furono rese uguali per tutte le confessioni.

Pastori e rabbini furono autorizzati a prestare servizio di cappellani nella guerra di Libia del 1811 e in quella mondiale del 1915-1918.
Le leggi di pubblica sicurezza stabilirono eguale tutela per tutti i culti.

Lieti del godimento di tanti diritti e timorosi che nuovi interventi non li escludessero dai nuovi benefici, i valdesi non accolsero , ne' sostennero i vari tentativi che, tra il 1849 ed il 1851 vi erano stati da parte del Governo di definire meglio giuridicamente il principio della tolleranza proclamato nello Statuto.
Se ne era fatto esponente il ministro Pinelli.

Ma questi tentativi non trovarono rispondenza nella Chiesa Valdese che, memore del giurisdizionalismo napoleonico, diffidava di qualsiasi ingerenza. 35 Secondo le teorie separatiste dello svizzero Alessandro Vinet, ella preferiva che la sua liberta' religiosa fosse tutelata dalle norme del Diritto Comune, convinta che esso avrebbe salvaguardato il suo principio di autonomia meglio di qualsivoglia altra normativa.


Valga, a questo proposito, la dichiarazione della Tavola presentata alla Camera del Parlamento subalpino, il 27 settembre 1849:
" La Chiesa Valdese, trovandosi tale per le sue regole di fede e per la sua costituzione, deve reggersi ella stessa in maniera assolutamente indipendente, secondo i suoi principi, nei limiti del diritto comune.
Ogni intervento o restrizione posti dallo Stato alla sua attivita' o allo sviluppo della sua vita interiore, attaccherebbero il suo diritto di autonomia; la falserebbero come chiesa e tenderebbero a distruggerla ". 35 I valdesi, quindi, erano convinti che, una volta affermato qusto principio di autonomia nell'ambito del Diritto Comune, tutto quello che di restrittivo era stato affermato, sia nell'Editto di emancipazione che nello Statuto, sarebbe caduto con l'affermarsi pieno delle altre liberta'costituzionali, liberta' di parola, di stampa, di riunione, di associazione ecc. 35 Come abbiamo detto, nel periodo fra il 1848 ed il 1924-25, i valdesi italiani vissero nella pratica un regime liberale, progressivamente sempre piu' ampio.

Paghi di una liberta' sconosciuta da tempi immemorabili, sembrarono dimenticare , e, nella maggior parte dei casi fu proprio cosi', che quella liberalizzazione non era dovuta ad innovamenti legislativi, ma ad una interpretazione largheggiante delle norme e che ben diversa sarebbe stata la situazione, se questa discrezionalita' fosse venuta meno e ci fosse stato un esplicita volonta' di attenersi al dettato della legge.

 
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